Questo è il wine blog di Stefano Il Nero, un contenitore indipendente, indisponente ed insufficiente di impressioni sul vino
ed il suo mondo.
Al centro il gusto, la tradizione, il territorio.

mercoledì 29 dicembre 2010

ASSAGGI A PIU' VOCI: THE BEST OF NATALE 2010 E DINTORNI


Quando arrivano i momenti conviviali, inclusi quelli che vivono delle meravigliose feste natalizie, mi piace approfittare dei palati dei molti amici che incontro per condividere bottiglie ed assaggi vari. Costringo amici prima inconsapevoli a degustazioni lampo. Alla fine metto insieme una serie di appunti a più voci che mi servono moltissimo per uscire dalla aurea mediatica di degustazione “specializzata” ed ascoltare invece i gusti e le tendenze della gente comune, di quelli che il vino lo apprezzano così, per quello che è, lo vivono bene anche senza i pistolotti di molte autorevoli grandi firme della critica vitivinicola. Così anche in questi giorni ho collezionato qualche buon assaggio che vi voglio riportare qui sotto con il plus che, mi ripeto, le impressioni qui sotto riportate sono a più voci. Vediamo in ordine sparso cosa ne è venuto fuori girando fra merlot, prosecco, barco, chianti, lambrusco, sauternes e moscato.
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Le qualità di Bosco del Gal , il brand di punta di Cantina Castelnuovo del Garda, è riconosciuta ma andate a scovare il suo Nero Assoluto 2007, è un merlot cioccolatoso al naso, grave ed intenso, profondo nella bevuta e molto equilibrato. E’ vero che su questo Stefano Il Nero ci ha vinto un concorso, a suo tempo dissi di lui “E' il filo di cioccolata il suo modo di essere vanitoso ed il suo stridere acidulo il suo modo di essere amabilmente leggero. Un tocco di versatile caparbietà" . E'un vino da non perdere.
Esce dalle capienti cantine di Valdobbiadene il Crede Prosecco DOC Spumante Brut di Bisol, un uvaggio di prosecco (85%), pinot bianco (10%) e verdiso (5%), che ha stupito la tavola: bello il perlage, colore giallo molto scarico e profumi di frutta bianca leggeri e gradevolissimi, assaggio con pera in evidenza, sapido ed elegante. Che prosecco !!
Una mia piccola passione della Toscana che “conta meno”è il Barco Reale. Territorio di provenienza Carmignano, provincia di Prato, questa volta abbiamo preso il Barco Reale DOC 2007 Cianchi Baldazzi Villa Il Poggiolo. Tredici gradi piacevoli e con tannini non esagerati. Profumo leggero di viola, bevuta leggera e veloce, acidità finale non esasperata. Media struttura. Ci stava proprio bene in tavola, faceva….amicizia.
Abituatevi a sentir parlare di Lusvardi, l’ultimo suo rosè l’ho maneggiato ieri sera. Il giorno di Natale, è andato in tavola, in apertura di pranzo, il suo Lusvardi Lambrusco Brut Vino Rosso Spumante. Docile e profumato di frutta rossa di bosco, lampone a non finire alla bevuta, bella chiusura sapida. Non strutturato, gradevole, scorrevole, in armonia con la tavola. Ottima idea da San Martino in Rio, provincia di Reggio nell’Emilia.
Un successone e complimenti a scena aperta per uno strutturato da grandi occasioni: Fonterutoli Chianti Classico DOCG 2007 Mazzei. Rosso intenso il colore, nel bicchiere è pesantino, grande naso con profumi tipici larghi e molto definiti, si sente bene il legno; nella bevuta tannini protagonisti, persistenza alta e lunga struttura al palato. La potenza della grande eleganza. Ottimo per tutti.
Un vino dolce senza svenare il portafoglio? Ci siamo affidati ad una delle cantine più popolari del mondo bordolese: Kressmann. Abbiamo messo in tavola il suo Grande Reserve Sauternes AOC 2008. Al naso dolce ma non debordante, una sensazione che richiama il nocciolo della rosa canina, note alcoliche solo accennate, rotondo anche al palato con note di miele ed una puntina di pizzicante agrume verso la fine. Va davvero bene così.
Merita una nota una produzione del Castello di Banfi, un marchio che ne fa tante e che ha fra le sue anche le Vigne Regali con un moscato che mi ha aperto un amico e che ho trovato più che gradevole. Vigne Regali Asti DOCG Dolce. Perlage bellino, naso di pesca piena come si dice dei buoni moscati, beva gradevole e leggera, senza esagerazioni, decisamente elegantino, forse un po’ fuori equilibrio ma è davvero una bella bevuta, anche lunga.

Fermiamoci qui, è stato un bell'incedere e ci siamo divertiti ma sopratutto è’ stato Natale, è stato Famiglia. Grazie a Dio.

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venerdì 24 dicembre 2010

AUGURI DI UN SERENO NATALE

Per noi Dio non è un’ipotesi distante,
non è uno sconosciuto che si è ritirato
dopo il “big bang”. Dio si è mostrato
in Gesù Cristo. Nel volto di Gesù
Cristo vediamo il volto di Dio.
Nelle
sue parole sentiamo Dio stesso parlare con noi.
(Benedetto XVI)

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".......La grazia è la bellezza di Dio che mi raggiunge dentro....... .
Per questo è facile riconoscere Gesù oggi, duemila anni fa come oggi, perché è bello. È semplice perché è bello, bellissimo. E se voi siete qua, immagino che tutti voi che siete qui davanti a me questa sera, è perché sapete di cosa sto parlando,perché avete incontrato la sua bellezza. A volte incontri certi ragazzi che studiano, lavorano, si trattano in un modo così bello, che non puoi non stare a guardare. Sono ragazzi, uomini, famiglie, adulti, gente che lavora. Gente così bella, perché ha dentro ciò di cui, quando vai a casa tua, senti la nostalgia e desideri potentemente vedere. Non capisci magari cos’hanno, ma quando ti allontani da loro ti viene una nostalgia di bellezza dentro, che ti vien voglia di rivederli, devi guardarli. Questo sei tu: tu, Gesù. Solo tu puoi rendere così belle le cose umane, così semplici ma così piene di quella bellezza che ridesta il nostro desiderio e lo compie. Duemila anni fa, diceva don Giussani, lo vedevano con i capelli al vento, lo guardavano parlare con la bocca che si apriva e si chiudeva. Adesso ci arriva addosso, lui, lo stesso Gesù, con queste presenze, con questi uomini, con questi ragazzi, «come fragile pelle, come fragili maschere di qualcosa di potente che è Lui che sta dentro». E come duemila anni fa il sacrificio consisteva nel trapassare l’apparenza di un falegname, di andare al di là, così per noi occorre il sacrificio di trapassare l’apparenza di questa fragile compagnia: ma quella bellezza può essere solo lui.
Trent’anni circa dopo la sua nascita, due uomini lo incontrarono alle foci del Giordano. Stettero con lui un pomeriggio intero e bastò per rimetterli in gioco, per riaccendere un desiderio che da uomini adulti avevano già cercato di archiviare, come tutti. Ma quel pomeriggio tutta la vita si è rimessa in gioco. Ricominciarono a desiderare. Lavorarono tutta la notte, pescando, alleggeriti o appesantiti da questo desiderio, il desiderio di rivederlo, il desiderio di arrivare alla riva il mattino dopo la notte di pesca e di andarlo a cercare. Ma quel mattino, tornando verso la riva, lo scorsero da lontano. Lui, proprio lui. Si era alzato prestissimo, alle tre o alle quattro del mattino, per essere là ad aspettarli al loro arrivo. E così capirono che anche lui aveva passato la notte con la voglia e con il desiderio di rivederli. Dio aveva voglia di rivedere quegli uomini, di quell’amicizia che era nata tra di loro. Dopo quel pomeriggio Dio stesso fatto uomo aveva voglia di stare con loro. Dio, facendosi uomo, ha voluto provare il desiderio di rivedere con gli occhi da uomo noi uomini. Questo è il Natale: Gesù, il desiderio di Dio di rivederci, di stare con noi da uomini a uomini.."
(Don Michele Berchi - Rettore del Santuario di Oropa)

mercoledì 22 dicembre 2010

AMARONE: ALCUNI PREZZI SONO "ARTISTICI" ALTRI UN VERO "CAPOLAVORO"


Continuo imperterrito nelle mie personali celebrazioni in attesa della folgorante ascesa della nuova Anteprima Amarone 2007 (28/30 gennaio 2011 a Verona).
Protagonista di questa mia anteprima all’Anteprima uno scaffale di un supermercato, uno scaffale per “amarone lovers” (vedi foto).
L’Amarone è vino noto, vino famoso; a dire il vero fino a pochi anni fa qualcuno manco lo considerava vino mentre oggi si contendono la palma di “Veri Amaronisti” in parecchi e, fra varie diatribe di bassa bottega, la palma del prezzo è cosa da mostrar muscoli.
Per una volta qui non è questione di durezza ma di altezza e per il prezzo la sfida, dice qualcuno, pare sia a chi ce l’ha più alto. A sentirla così mi riecheggia nella testolina la famosa parodia di Totò ed il suo inimitabile “Ma mi faccia il piacereee”.
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Troppe volte abbiamo parlato delle Famiglie dell’Amarone d’Arte e del loro proclama ma il loro riferimento “all’Amarone che deve essere raro e caro” (inteso come prezzo alto eh!) non passa dalla mente.
Non passa anche per il quasi immobilismo del consuetamente attivo Consorzio Valpolicella, tutto questo can-can intorno al loro caro (inteso come oggetto di amore) Amarone ed alla fine si risolve tutto con la “resa per ettaro”?.
La foto parla chiaro, questo è uno scaffale di un punto vendita in GDO e la sequenza dei prezzi non da adito a dubbi: prezzi in scala da 14,50 €/bottiglia del solito brand Cadis (migliorata rispetto al 9,90 rilevato un anno fa), passando per € 16,50 di Pasqua ed arrivando a € 18,90 di Lamberti. La fascetta è di Amarone, il nome dice Amarone ecc ecc.
Insomma che differenza c’è da questi e gli Amarone che vogliono altri produttori venderci a 30/40/50/60 € a bottiglia??
Formalmente nessuna ed infatti è qui che ti voglio….. caro Consorzio.
Su una questione simile ma riguardante il Barolo, venduto in GDO al prezzo record di € 4,99, il celebre giornalista Franco Ziliani scrive recentemente sul suo Vino al Vino Non serve a nulla scandalizzarsi, inca…volarsi, come ho fatto io, per la vera e propria svendita che dell’immagine di un vino cult e simbolo come il Barolo in questo modo viene fatta”.
Svendita dell’immagine? Per una volta il terribile Ziliani è stato un vero agnellino.
Per quanto riguarda la questione del nostro amato Amarone a me invece piacerebbe sapere chi bara.
Quanto vale un Amarone? Perché mai se vale 14 euri secchi secchi il mercato, e la mia tasca, dovrebbe riconoscere ad alcuni produttori 30 euro in più quando va bene? C’hanno i figli che fanno il liceo da privatisti? Tengono il nonno in vacanza a Cortina? Detengono famiglia numerosa? Oppure il motivo è, come dicono le Famiglie dell’Amarone d’Arte nel mitico loro già citato manifesto, che loro l’Amarone “ ‘o fanno strano” ovvero artistico ovvero diverso e che quindi vale di più???
Per avere la risposta a quanto sopra si può ipotizzare il Consorzio abbia mandato una letterina a Babbo Natale.
Sono due Amarone diversi? Il Consorzio ce lo dica e ci faccia due disciplinari diversi (dico sempre le stesse cose ? Lo so, portate pazienza), altrimenti si dica che…..
Questo è un tema vero per la prossima Anteprima Amarone e mi auguro il Consorzio Valpolicella voglia corrispondervi ritagliandosi uno spazietto, fra una magnificazione e l’altra con la solita cantilena della “favolosa vendemmia e della eccellente qualità delle uve di quest’anno”, per spiegarci quanto è veramente caro il nostro Amarone.
Quello che si chiede è una politica seria a difesa del buon nome e della immagine globale di questo stupendo vino, una politica che guardi al consumatore ed alla trasparenza sul mercato, ma anche una analisi tecnica precisa su cosa sia o debba essere un Amarone.
Lasciare il tutto in balia del mercato è pur sempre una scelta ma di questi tempi pare proprio non sia quella giusta
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mercoledì 15 dicembre 2010

ROCCA DI MONTEMASSI 2008 MAREMMA TOSCANA IGT : MEDIAMENTE by ZONIN


Mi è piaciuto molto, nell’ultimo numero di “Il mio vino” l’editoriale di Emanuele Vescovo che, segnalando la propria scelta come Cantina dell’Anno in un noto produttore da milioni di bottiglie, ha aggiunto ”Di sicuro non è una cantina “scenografica” ma ogni volta ho potuto apprezzare la grande professionalità di tutti quelli che vi lavorano e l’impegno speso per produrre vini sempre migliori. Secondo noi queste sono cose che meritano di essere premiate, anche a rischio di ricevere critiche dai soliti “esperti” secondo cui un’azienda che produce milioni di bottiglie non può fare qualità. Queste sono semplicemente delle balle!
Un messaggio chiaro ai troppi arricciatori di naso, quelli che “o semplici vigneron o morte” e quelli del “piccolo è (per forza) bello”.
C’è una realtà, non è quella di cui sopra scrive il Vescovo, dalla inflessione tipicamente veneta ma con vitigni in tutta Italia e pure fuori da essa, una realtà che, fra un governo e l’altro di non so quanti milioni di bottiglie, trova utile e importante misurarsi con tasting panel ed altre iniziative di ampia diffusione, una realtà che si inventata una cosa chiamata myfeudo tanto per intenderci. Si chiama Zonin, è una grande cantinona, ha mandato in giro, perché dicessimo a tutti e a loro cosa ne pensiamo, due bottiglie da assaggio. Gli arricciatori di naso si scansino un attimino, spazio a chi fa queste cose, apprezzo molto e partecipo molto volentieri e questo è il risultato del mio assaggio di una di quelle bottiglie: Rocca di Montemassi 2008- Maremma Toscana IGT. Per continuare a leggere questo post clicca su Continua
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La tenuta degli Zonin si trova in provincia di Grosseto, piena Maremma, a Montemassi appunto (Comune Roccastrada), sempre dritto da li in giù ed il mare si chiama Follonica.
Il nostro assaggio è un uvaggio 40% Merlot, 35% Cabernet Sauvignon, 20% Petit Verdot e 5% Syrah. Una combinazione pesata e gestita a suon di test in cantina dalla collaborazione fra il genio di Bordeaux Prof Dubourdieu e gli enologi zoniniani Giacosa e Ferrante.
Non è la prima volta che ci si occupa di Tenuta Montemassi su questo blog, lo si è già fatto qui, ci conosciamo già e se siamo tornati insieme vuol dire che, punto.
Allora vediamo, “..la vendemmia (delle singole uve) viene fatta in epoche diverse…”, in un arco di venti giorni dopo la metà di settembre, questo rosso maremmano verrà poi “assemblato” solo alla fine, quando si sono già fatti 30 giorni di macerazione, quindi manolattica ed altri 12 mesi di tonneau.
Sono 14 i gradi del nostro assaggio che si presenta di colore violaceo e mescitura solo un po’ pesantina; naso molto bello, frutta rossa e leggermente erbaceo, una voluttà di fumo ed una nota alcolica solo accennata. Solo leggermente corposo al palato, di media persistenza, sufficientemente equilibrato. Un ingresso che dimostra la predominanza del merlot, alcolicità ben camuffata nello note solo accennate di tannini e nel finale di discreta acidità e di buona piacevolezza. Ritorna in bocca la leggera sensazione affumicata.
Si nota come tutte le sensazioni che questo prodotto regala siano “medie”, di media intensità o solo “accennnate”; questa caratteristica di essere un po’ “medio” in tutto lo rende un vino di buona beva, nonostante il grado, di ampio spettro in termini di abbinamento a tavola, e qualcosa di più di un “buon vino” ma non un vino di classe o di particolare eleganza.
Nascondergli il grado e regalargli quel “naso” fa però molto bene alla sua bevibilità e lo annovera fra uno di quelle bottiglie che si possono tirar giù dallo scaffale senza alcun patema.
Un’altra freccia della Maremma al mio arco
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lunedì 13 dicembre 2010

RURALITA' ROMAGNOLA : I PROBI DI PAPIANO SANGIOVESE DI ROMAGNA DOC RISERVA 2007

Il posto lo conosco, è un po’ sopra Faenza, per sopra si intende a sud perché è di la che punta la montagna in Romagna, qui infatti il confine fra Emilia e Romagna è trascorso, qui è Romagna pura.
Io ed il sangiovese abbiamo trascorsi notevoli, il primo amore non si scorda mai, però il sangiovese che ho spesso frequentato io è quello oltre il Passo della Futa, dalla parte di qua, in Romagna, c’è lunga tradizione dello stesso vitigno ma io da poco mi cimento davvero con lui e lo faccio un po’ (troppo) per la curiosità di sapere “l’effetto che fa”. Sbagliando si impara, ho chiesto consiglio ed è cosi che sono arrivato alle bottiglie di Villa Papiano, tenuta in Modigliano, provincia di Forlì-Cesena, ho voluto fortissimamente il loro Sangiovese: “I Probi di Papiano – Sangiovese di Romagna DOC Riserva 2007”.
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Villa Papiano sono dieci ettari di vitigni situati sopra i 400 metri di altitudine sull’Appennino Tosco-Romagnolo, Villa Papiano è anche un Castello del ‘400 di interesse storico indubitabile.
Non è originale la “ricetta” di questa Riserva che si concede il suo bel 10% di Merlot e Syhra a far da corollario al 90% di Sangiovese.
Aperta la bottiglia del nostro subito mi raggiunge la sua nota alcolica (14,5 % il volume alcolico) e subito dopo il nostro Probi di Papiano si lascia versare risultando di colore scuro come la pece, con unghia stretta, naso marcato e decisamente tondo di frutta rossa che non lascia spazio a fantasie, leggera nota affumicata di tabacco.
L’assaggio è degno del suo nome (…e delle sue uve), si apre in bocca coerentemente e si sente subito che i 12 mesi di assemblaggio e maturazione in piccoli fusti di rovere francese ed i 16 mesi di affinamento in bottiglia non sono passati invano. E’ un vino rude, aggressivo, vinoso, non si può dire sia aggraziato, ampio e di buona struttura ma, infine, un vino potente ed anche piacevolequalora non si cerchi troppa morbidezza.
Il Sangiovese Riserva 2007 dei Probi di Papiano è un vino con le note organellettiche tipiche ma molto marcate, uniformi e fin troppo decise, una compagnia forte, la salda e sicura compagnia della bella e cantata ruralità romagnola
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venerdì 10 dicembre 2010

UN PASSO ALLA VOLTA.....BENVENUTO A "VININO.IT"

Un passo alla volta , è il modo migliore di fare le cose, un passo alla volta e non perdi mai la coscienza di quello che lasci indietro, ogni passo una piccola analisi e magari una attesa, l’attesa che qualcun altro faccia un passo con te, perché camminare da soli stanca anche un re, pensare da soli annebbia anche un filosofo.
Mi pare si possa disegnare così il lento emergere sulla rete e nella coscienza di molti della concreta esistenza di una categoria enologica viva ad oggi solo nella inconsumabile tradizione ed esperienza, una categoria che ha avuto e celebrato anche un suo Manifesto Elogiativo : il vinino.
Il vinino è uno degli argomenti più gettonati su questo blog che, in questo senso, è solo un paripatetico del mondo. Un passo alla volta e tutti infatti ne hanno parlato, sono spuntate un po’ ovunque bottiglie che si sono viste attribuite la nuova “denominazione” di “vinino”, magari non sempre a proposito (anche su questo blog), alimentando questo nuovo mondo di antica radice e, chissà, magari anche mettendolo in pericolo.
Esattamente un anno fa rispetto al motivo del vinino mi chiedevo qui : “…e adesso che si fa?”
Così adesso non posso che plaudire visto che, dopo la fase elogiativa e, dice lui, quella riflessiva, l’Angelo Peretti ha deciso di non dare fuoco alle micce ed è nato www.vinino.it.
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Avete capito bene, “non dare fuoco...", rispettare l’incedere del passo dopo passo perché se questa cosa del vinino deve essere una cosa seria allora, dice lui, "Il rischio era - ed è - quello della banalizzazione” e continua, citazione nella citazione, con un appunto di Fabio Rizzari "Si assiste attoniti all’attuale esaltazione di vinelli piacevoli, ma senza pretese, elevati al rango di grandi vini. Il rovesciamento di segno rispetto a una decina d’anni fa è compiuto".
Insiste quindi l’Angelo: “Riflettevo perché il vinino stava diventando una moda. E c'era il rischio che sul nuovo carro …..ci si precipitassero produttori che nulla hanno a che spartire con la cultura - già, la cultura - del vino appunto semplice ma non banale. Imitatori del vinino, così come fino a ieri imitavano il vinone. Fabbricatori di vino…..Mi domando se possa esserci un vinino senza tradizione autentica."
Bella domanda, corposa ed insidiosa, questa domanda potrà essere il Rubicone del vinino, sarà la domanda sulla quale ci tireremo il dado nel prossimo lustro quando gli appelli al vinino verranno raccolti da estimatori che chiederanno adeguate correzioni all’Elogio, magari nel nome del “mercato” o della “comunicazione”.
Perciò anche a questo potrà servire www.vinino.it, il nuovo blog che il Peretti dice aver inventato quasi senza ancora sapere bene cosa farsene, ma il furbone del Garda non ce lo da a bere e, considerando che il brand del nuovo blog è senz’altro accattivante, si aspettano per questa denominazione atipica nella sua tipicità, nuovi passi. Uno alla volta.
La cosa avrà la sua incoronazione in quel di Ferrara il giorno undici del mese corrente per un Vinix organizzato dal vulcanico e super innovativo Mariotti, cosa molto bella a giudicare dal programma, un cin cin al vinino: e chi se lo perde.
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lunedì 6 dicembre 2010

AMARONE BERTANI VILLA ARVEDI DOC 2006: IL CUGINO.

Continua la caccia del tenace autore di questo spennacchiato blog all’Amarone non per forza “artistico” ma che insomma si fregi del magico nome della Valpolicella. Insisto perché mi diverto ma anche perché, diciamo la verità, gli amaronisti me ne danno il modo.
Fra poco più di un mese gigioneggeremo con Anteprima Amarone 2007 e, impegnati a celebrare ciliegie al tannino frutto di vendemmie sempre meravigliose, ci dimenticheremo di questi fugaci assaggi.
Questa volta siamo andati a casa Bertani, possedimenti della Valpantena però, titolati a Villa Arvedi annata 2006. .
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Cosa ha di diverso questo Amarone di Villa Arvedi dal più sbandierato Amarone Classico sempre di Bertani? Intanto diamo evidenza delle cose che accomunano i due prodotti di casa Bertani: stesso disciplinare di riferimento, stessa denominazione (DOC), stesse uve (rondinella e corvina veronese), stesso nome (Amarone), stessa casa produttrice, potrei andare avanti a lungo.
Il Classico del Bertani però fa sei anni di botte e dodici di bottiglia mentre questo “Villa Arvedi” trenta mesi di botte e sei di bottiglia: un cugino di secondo grado.
Stesso nome, stessa DOC, stesso disciplinare ma un produttore può fare due cose completamente diverse e chiamarle con lo stesso nome: Amarone. Viva la coerenza. Evviva il disciplinare.
Diamo però ora fiato al giovane ed incolpevole Amarone Villa Arvedi DOC 2006 Valpantena ed alla sua più che dignitosa performance di assaggio.
Da Verona invece di puntare verso il lago e verso Negrar si punti verso nord-est, Grezzana per intenderci, si arriva di sicuro in Valpantena, territorio più dolce e urbano della più desolata e profonda Valpolicella classica. Il nostro assaggio viene dalle tenute del Bertani ivi residenti.
Sono 14,5 gradi di alcol quello che ci accingiamo ad assaggiare ma vi indico fin da subito che di questa gradazione non c’è traccia, assaggiamo un Amarone, Villa Arvedi appunto, non trascendentale ma per nulla rivestito da alcol e tannini.
Colore cupo, sfumature rosso antico, riflessi violacei. Naso profondo, sensazioni non marcate ma tipiche della sua genia, ciliegia discreta ma matura, rotondezza.
L’assaggio dimostra subito una buona armoniosità, solo leggermente allappante, scivoloso, sapori tipici non troppo marcati, un amarone piacevole ma incompleto, sfuggente, con chiusura legata ad un tocco di acidità non invasiva.
Un amarone senza pretese, docile e non presenzialista, legato a profumi e sapori tipici più da contratto che da sostanza ma generalmente apprezzabile e piacevole. In sintesi un buon esempio per la tavola e per coloro che vogliono avvicinarsi al mondo delle uve veronesi più note senza svuotare il portafoglio.
Rimane il dubbio “amarone” si nasce o si diventa?? Alla prossima puntata
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domenica 28 novembre 2010

RUGBY LAMBRUSCO E FIJI....BENVENUTI A MODENA

Si rinnova ancora una volta lo spirito di questo blog, palla ovale e buon vino e così……

Siamo andati in quattro a caccia di rugby & lambrusco, direzione via Emilia, giornata di sole novembrino; questa è la cronaca di una giornata a Modena e provincia con Italia- Fiji incontro internazionale di rugby e lambrusco in varietà, vitigno emiliano dop.
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Il rugby ha fatto centro, Italia – Fiji era partita da vincere e i nostri l’hanno fatta anche se di marcare una meta non se ne parla. E' stata una questione di calci piazzati, un primo tempo bruttissimo ed un secondo solo sufficiente sono bastati perché, anche se i fijani la meta l’hanno anche fatta, hanno tirato meno calci e di quelli avuti ne hanno infilati meno. Italia 24 Fiji 16 e lasciamo ora a Mallett, impudente coach della nostra nazionale di rugby, sperticare per questa vittoria, nulla potrà mai cancellare la mediocrità della sua gestione del rugby italico. Speriamo la Federugby ci regali presto un motivo per sperare che si può più di così, che il nostro rugby può tornare a farci sorridere, ad essere frizzante e piacevole, come un lambrusco. Altro che la pizza fredda che ci propina lo spocchioso Mallett.
Il dopo partita si è dipanato fra i giusti onori recapitati ai tre monumenti Patrimonio dell’Umanità decretati dall’UNESCO in Modena, Piazza Grande, Duomo e Ghirlandina, ed una cena sapientemente organizzata dal Siro in zona San Prospero, una ventina di chilometri più a nord, provincia profonda, di Modena naturalmente.
La Ghirlandina in verità non l’ha vista nessuno, incappucciata da fantasiosi teli stile "ohcomesonoculturaloide" lei si gode il suo restauro nascosta e silenziosa, tornerà presto a farsi ammirare.
Poi è toccato a lui ! Il lambrusco ha una varietà di vitigni sparsi fra le provincie di Mantova, Reggio nell’Emilia e Modena, di questi ultimi si occupano sia il Consorzio Tutela del Lambrusco di Modena sia il Consorzio del Marchio Storico dei lambruschi modenesi e chissà perché in Italia un solo campanile non basta mai.
La serata prevede dichiaratamente una esplorazione sulla metodologia operativa per affrontare, chiacchierando sulle magnificenze dei calci di Bergamasco e dei dritto per dritto di Vilivuli, la cucina modenese.
La tavola di questo pezzo di Emilia divaga su tre direttrici: maiale, aceto, lambrusco
. E' ampia, ricca, grassa, opulenta e sontuosa, perfetta per un vino minerale, fresco, sempre giovane, di grado modesto e soprattutto frizzante. Modena ama il suo lambrusco come questi ama la sua Modena.
Si srotola il menù: entrano in scena gnocco fritto ed affettati, tigelle e formaggi cremosi, due divagazioni di confine con lo strolghino prima (eccellente) ed i tortelloni ripieni di zucca poi. Un pinzimonio timido ed alcune gocce di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena guardano passare un guanciale commuovente ridotto su polenta.
Quale lambrusco per cotanta occasione? I tre re che scegliamo si sono spalmati nella serata con vena competitiva: prima il LAMBRUSCO DI SORBARA vino spiccatamente di buona beva, di colore viola, vinoso ma non troppo, fruttato con la sua fragolina sempre presente ed un profumo delicato a farle da contorno. Scorre il menù e guardando verso la tradizione arriviamo al LAMBRUSCO MARASCONE, ovvero laddove le uve di sorbara, salamino e grasparossa si incontrano e danno luogo ad un vino scuro come la notte che rilascia gusti più intensi e carichi, frutta nera pesante, profilo molto secco, c’è più “terra” nel marascone.
Il finale lo lasciamo gestire ad un LAMBRUSCO SALAMINO DI SANTA CROCE che ci fa conoscere un lambrusco più elegante sia al naso che all’assaggio, fine, meglio strutturato, il frutto è più delicato ed il passaggio sul palato armonioso. Un capo d’elite.
Giornata ricca di emozioni per gli audaci della spedizione emiliana: Siro, Stefano Il Nero, Luca e Claudio, quattro amici ed appassionati ovali in giro per questa Italia sempre così dolce ed affascinante, inseguendo le tracce del nostro rugby e le tradizioni della nostra gente.
Grazie Modena, grazie di tutto.

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venerdì 26 novembre 2010

L'ETICHETTA AMMALIA , IL SONDAGGIO PARLA CHIARO LA BOTTIGLIA SPESSO NO

Vi è mai capitato di dire “Buono questo, da provare” indicando una bottiglia e poi ricordarvi che in verità quella bottiglia è forse la seconda volta che la vedete e sempre con il tappo rigidamente serrato sul collo ? Niente di male tutto nella norma.
Cioè, come degustatori e opinion leader del vino, la cosa è di una certa gravità ma lo dicono le statistiche: l’etichetta ammalia.
Più delle curve della Bellucci, più di una corsa di Jonah Lomu, più del barbisio di Raul Bova, l’etichetta di una bottiglia in un wine-lover può istigare alcuni dei peggiori istinti, dimenticanze e bugie, ripensamenti e pentimenti.
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Buono questo, da provare” ….poco dopo arriva la rimembranza e con essa il pentimento, vi ricordate che era una fetecchia o un vero nulla di speciale, vi viene in mente che il profumo di fiori era scialbo o il perlage decadente, ma però quella etichetta che bella che è, con lo stemma araldico o il disegno naif giusto sotto il nome “brunello” o “barolo” o “amarone” ….ma come si fa …e poi quella citazione latina proprio li davanti….ed il carattere “lucida calligraphy” o il “century gothic” che eleganza!
La statistica parla chiaro e, ringraziando il portale “i numeri del vino”, cito un breve riscontro sull’impatto della confezione nel mondo del vino, una analisi su 500 persone poste di fronte alla scelta di acquisto su vini mai assaggiati prima:”L’aspetto esteriore della bottiglia ha la sua importanza. Il 40% dei consumatori analizzati ha considerato l’etichetta, mentre soltanto il 30% ha considerato l’origine e la classificazione del vino. Anche il colore della bottiglia ha la sua importanza (20% dei consumatori), mentre il 12% danno anche peso alla forma della bottiglia. Quindi, sommando i tre parametri relativi al confezionamento (forma, colore e etichetta), arriviamo al 70%.”.
L’etichetta è parte del prodotto, oggi come oggi, nella tremenda società dell’immagine che viviamo, un abito forse può non fare il monaco ma un buon vino magari si.
Una volta in più ci tocca tirar le orecchie alle troppe cantine che pensano alla propria etichetta come ad un sintomo di produzione più che ad un biglietto da visita, insomma cari produttori il brand e lo stile oggi sono ineludibili se si vuole fare strada ma una etichetta deve dire/dare di più !
Diciamoci allora una cosa : l’etichetta è prima di tutto una fonte di informazioni per il consumatore oppure uno specchietto per le allodoline o peggio un sistema per “acchiappabischeri”?
Posta così la questione dimostra un suo lato “forte” al quale pochi grandi produttori sono arrivati : l’etichetta è una grande occasione per i produttori stessi per educare i clienti al consumo, al consumo di cose buone, fatte con i dovuti crismi, selezionate con cura, insomma l’etichetta potrebbe essere un metodo di selezione nel mercato messo a disposizione del consumatore. L’etichetta in questo senso potrebbe essere elemento meritocratico o almeno secondo me andrebbe imposta così per la maggior parte delle nostre bottiglie e diciamo sicuramente per le DOCG, come minimo.
Ho rigirato in mano molte volte eleganti bottiglie ricoperte di lussuose etichette e mi sono fermato a leggerle, spesso ho trovato un vuoto oltre il simbolone o il parolone, ed una inesauribile dose di furberia.
Bono ‘esto, da provare bada …percheeeee??? Ma l’hai vista l’etichetta ???? Ecche voi trovare con una etichetta così….i’meglio….ovvio no ?”.
No.

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martedì 23 novembre 2010

L' ALTRA TOSCANA IMPORTANTE: LUPICAIA 2000 IGT


Un colore scuro come la notte più buia, una densità apparente che non lascia dubbi, un naso forte intenso ma largo, più che corposo è più giusto definirlo “importante”, profumi di frutta rossa accentuata ed una spiccata vena di dolce, è un rigagnolo di dolcezza in tanta aggressività.
Al naso è anche un po’alcolico ma solo poco poco, del resto il volume fa quattordici, mica noccioline….anzi si anche un profumo di noccioline, bruciacchiate però.
Passiamo all’assaggio, ha un ingresso appunto “importante” si da le arie di alcuni nobili vini rinomati che si coltivano poche decine di chilometri più a sud, persistente, smaccatamente minerale con note vanigliate e tannini in quantità, decisamente strutturato ma sempre composto, ostinato nella sua complessità fin sul suo finale: ampio, veloce e grave.
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Si sente il tocco di Merlot (10%) in questo uvaggio a base di Cabernet Sauvignon (90%), gli evita una struttura tutta muscoli tipica di certa altra ammirata Toscana.
Il mio Lupicaia IGT Toscana del 2000 faceva capolino dallo scaffale da tempo, avevo deciso quando ve lo avevo coricato che gli avrei regalato un po’ di anzianità e così è stato: ha superato la prova in maniera brillante.
Al Castello del Terriccio il Lupicaia è un vino di punta, si produce dal 1993 ed è il prodotto della svolta della tenuta dopo il suo passaggio al Cavaliere Rossi di Medelana, uomo noto al mondo, e non solo quello vitivinicolo, per la sua impareggiabile vocazione alla vita, uomo handicappato, ed al successo. Devo farmela raccontare la sua storia, Africa, Australia, la tenuta, il grano ed il vino. Wow!!
La mia bottiglia del 2000 una delle trentamila prodotte, ha giocato in barrique per 18 mesi, è andata in vetro nel luglio 2002 (così dicono le cronache). Il suo nome prende le mosse proprio dal “lupo”, la lupicaia è terreno di caccia al lupo, ora ci sono i vigneti, meglio così, conosco dei lupi io (ed anche voi) che meriterebbero si una caccia aperta, ho in mente un paio di posti io da segnar a “lupicaia”…..
Comunque a me questa Toscana “importante” è piaciuta molto, adesso buona caccia anche a voi.
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giovedì 18 novembre 2010

WINE WEB & WINE BLOG: NON VA TUTTO BENE ...MADAMA LA MARCHESA


“Maso rispose che le piú si trovavano in Berlinzone, terra de' Baschi, in una contrada che si chiamava Bengodi nella quale si legano le vigne con le salsicce……e ivi presso correva un fiumicel di vernaccia, della migliore che mai si bevve, senza avervi entro gocciola d'acqua”
(G. Boccaccio - Decamerone)


Salve popolo lettore , sei abbastanza rassicurato ? Sei felice, leggiadro, aureo e rilassato ? Hai visto come tutto va bene nel vitivinicolo? Ma come non li leggi i blog del vino ? Un florilegio di mostre (belle), degustazioni (ottime), nuove guide (interessantissime) e complimenti in formato espanso per chiunque, ma veramente chiunque. Popolo lettore stai sereno va tutto benissimo, sei arrivato nel Paese di Bengodi.
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Ninuno lamenta problemi settoriali, tanto meno una mostra/fiera/degustazione andata male, nessuna guida dice stupidaggini e nessun vino è proprio da buttare via, le degustazioni a tema poi, bhe di quelle è scritto sempre bene; se queste ultime poi propongono vini esteri allora qualcuno apre al visibilio declamando sensibilità tutt’ora sconosciute al settore vitivinicolo, avanguardie declamanti dichiarazioni del tipo “altro che i tannini questi c’hanno il wi-fi!”.
Non ci avete capito niente? Ah bhe, chi ogni tanto passa da questo blog ha già capito: mi lamento della piattezza degli argomenti che la rete propina ai wine-lovers, mi lamento della mancanza totale di idee, della mancanza di dibattito su un qualsiasi povero, misero argomento.
La stessa schiera di wine-blogger che fino ad un paio di anni fa sciorinava idee e rendeva frizzante il wine-web ora partorisce figli unici (tutti perfetti ed educati) a ripetizione, ogni vip-wine-blogger sta poi ben attento a non considerare la esistenza del vicino di blog.
Ognuno dei vip-wine-blogger ha movenza di chi è convinto di essere l’unico wine-blogger al mondo, dietro e davanti ad ognuno di loro sono tutti convinti vi sia un cartello: “Hic sunt leones”.
Qualche scossone qualcuno lo da e c’è forse qualche eccezione, ma non basta.
Approfondiamo però un passaggio e parliamo dei “casi patologici”.
Parliamo di coloro che si lamentano a tutta voce, anzi a tutto blog, del fatto che il mondo del vino non tiene abbastanza in considerazione la rete, per loro la vita dovrebbe essere un buzz o un twitter ed i viticoltori invece si ostinano a zappare la terra.
In verità la wine-rete di oggi è noiosa, dice sempre le stesse cose, pare sia diventata, grazie ai troppi blogger che si occupano di marketing invece che di vino, “solo” (spero di sbagliarmi) un modo per abbindolare clienti
Più i contenuti decadono in una noia mortale più gli amici di cui sopra pensano che la rete sia davvero interessante per tutto il mondo vitivinicolo, perché ? così, alla Totò, “ a prescindere”.
La patologia è evidente, nella loro mente da tempo l’I-Pad si è sovrapposto alla bella immagine di vigna che avevano un tempo, il mezzo ha ampiamente superato il fine, l’obiettivo non è "il gusto" ma la vendita ed ecco allora arrivati puntuali i salamelecchi in rete, per chiunque.
Cari amici wine-blogger bravi ma noiosi svegliatevi! Il wine-web non è un immenso contenitore pubblicitario e trattarlo così è il modo migliore per ucciderne l’esistenza minandone la credibilità. Il blogger è nato per dire, discutere, rilanciare ed amplificare, il wine-web o è una “comunità” espansiva e sapida o perde il suo senso originario, perde il segreto del suo successo, la solitudine non è web.
La community oggi non è tale e, senza community, non c’è www che tenga.
Pensateci.
Adesso fate pure tutto il silenzio che volete, io la mia l’ho detta, senza tema: qui non va tutto bene…. madama la marchesa.
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venerdì 12 novembre 2010

DUCA DELLA CORGNA, TRASIMENO GAMAY DOC 2003. IL BUCOLICO.


Castiglione del Lago è un paesino molto bello; situato in provincia di Perugia su di un lungo promontorio che entra nel Lago Trasimeno, Castiglione è una cittadina ricca di storia e di minute tradizioni. Fateci un giro, visitate la Fortezza, la bella cinta muraria il centro storico e soffermatevi sul Palazzo dei della Corgna, i signori castiglionesi dal cinquecento in poi.
Lo so che avete già capito tutto, ovvio che si, a Castiglione sul Lago c’è anche una prestigiosa cantina umbra: Cantina del Trasimeno.
Girovagando fra storia e tradizione il Trasimeno ci ha portato in Francia, anzi no a Castiglione….insomma…tutti e due, l’assaggio però è ormai italico: Duca della Corgna Divina Villa Trasimeno Gamay DOC 2003.
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E’ intitolato al Duca della Corgna la linea vini più raffinata della Cantina del Trasimeno ed il perchè ora vi salta all’occhio. Compiendo il docile abbinamento fra l‘assaggio sopra titolato e la storia del luogo si intuisce che furono proprio i Corgna, esattamente Corniolo della Corgna nel milletrecento circa, ad importare questo vitigno autoctono dalla Borgogna e farne materia di vanto umbro.
La storia comunque c’entra ancora con questo vino che si fa , dichiara la Cantina, con “circa 12 mesi in barriques di rovere francese collocate nelle storiche cantine del Palazzo cinquecentesco del Duca della Corgna a Città della Pieve”. Verità o suggestione ? Però è bello.
Finita l’epopea del barriques il nostro Trasimeno Gamay si fa altri sette mesi in bottiglia, santa pazienza!!!
La bottiglia prelevata ed assaggiata, una delle trentamila di questa qualità prodotte dalla Cantina del Trasimeno, è un buon 2003 con un grado alcolico dichiarato a quattordici ed una versatilità all’assaggio non comune.
Diciamo subito che aprire questa bottiglia stata una idea decisamente felice, bella cosa davvero.
Colore rosso scuro anzi di più diciamo carico, quasi Nero, l’occhio vede un vino di buon corpo, media densità, il colore profondo e deciso che quasi intimidisce.
Il naso rivela una bella esperienza: profumo caldo, tondo, pieno, carico di note di bacca rossa, bello! Finalmente scivola sul palato, ingresso amabile ma subito diventa sfuggente e calibrato. Alcol sempre ben nascosto per questo Gamay che si dimostra ricco di sapori ampi e pieni, un vino saporito! Persistente solo in apertura poi subito ritorna in armonia e sprigiona un bouquet fatto di terra e di vite bagnata. Un vino bucolico in equilibrio con se stesso: non è aggressivo e non è leggiadro, non è troppo pungente e non è nemmeno troppo amabile.
Per viverlo veramente questo Gamay bisogna anche saperci stare insieme e se lo fai scatta la scintilla, eccome che scatta. Parola di Stefano: Il Nero
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sabato 6 novembre 2010

LA FOTO DELL'ANNO DEL RUGBY MONDIALE PARLA AL CUORE


Chi mi conosce sa che questa cosa mi regala una grande emozione e non posso fare a meno di lasciarvela e soprattutto lasciarla qui ad alcuni amici che so transitare da questo blog e che si faranno con me una serena lacrimuccia.
L’IRB (International Rugby Board), ovvero l’organismo internazionale del rugby, ha scelto la sua foto dell’anno che sta volgendo al termine (vedi qui sopra).
Scattata nell'orfanatrofio di Kolkata in India la foto raffigura un gruppo di ragazze ospiti della struttura che giocano a rugby per la prima volta. Mai un pallone da rugby mi è parso nelle mani più giuste.
Gira l’ovale nelle mani di queste sorridenti ragazze immortalate da Richard Lane che ha intitolato la sua foto “Bengal Khuki”.
Il mondo sarà più bello quando di queste ragazze potremo vedere solo quel sorriso, quel sorriso oggi regalato da quella palla ovale ma che domani potranno mostrare guardando alla loro vita.
(Clicca sulla foto per vederla ingrandita )
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domenica 31 ottobre 2010

IL LAMBRUSCO DELLO ZUCCHI: PIACE IL SUO SORBARA DOP


O è grasparossa o è salamino o è sorbara, non si scappa, si parla di lambrusco.
Fermarsi nei dintorni di Modena e chiedere di vino, ti mandano a San Prospero, quando sei li ti dico io dove fermarti: vai a trovare il Davide Zucchi.
E’ il Sorbara il vitigno che fa fieri i modenesi del vino, il suo vitigno vive bene a contatto con altra varietà ovvero il salamino, il Sorbara infatti è varietà delicata e la DOP per questo chiede questo affiancamento, questo sostegno. Vino della tradizione emiliana si, ma fatto con la testa, disciplinari ordinati richiedono questo sano realismo. Uno sguardo allora all’assaggio del Lambrusco di Sorbara DOP Az. Agr. Zucchi.
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La cosa bella quando arrivi in Azienda Agricola Zucchi è che ti accoglie la giovane erede, la nuova generazione sta facendo ingresso in azienda e, racconta il babbo, si occuperà anche delle cose di cui non può più fare a meno: un po’ di internet, marketing, immagine.
Questi Zucchi vedono distante.
Oltre centomila bottiglie prodotte ogni anno, oltre la mezza dozzina le varietà a catalogo, dagli Zucchi si respira aria di tradizione, orgoglio per i propri clienti tedeschi che “sono precisi e sanno quello che vogliono” ed una buona dose di amore per le cose che vengono da lontano ed andranno lontano, perché di lambrusco stiamo parlando:”al vén é la tatta di vic'”
La terra di Emilia è lambrusco, ovvero il contraltare della romagna di sangiovese, il lambrusco è un vino frizzante, vivo, sincero, di bassa gradazione, 10,5 quelli del sorbara dello Zucchi, un vino che sprigiona il sapore della tradizione popolare, è un vino da casa e da chiacchiera e, tanto per concludere la fase declamatoria, “Ban vén fa ban sangv”.
Versiamo questo lambrusco dello Zucchi e si sprigionano le mille bollicine raccolte compostamente ed ordinatamente in schiuma elegante e non eccessiva. Il colore è rosso rubino, acceso, vivo.
Al naso è aperto e scorrevole, senza alcol in piena evidenza, intenso e frizzante (ma non troppo), un evidente profumo di violetta ma è ancora più evidente il passaggio di fragola.
Il primo palato è lambito in maniera gradevole e senza eccessi dalle bollicine, quindi si apre in bocca e rilascia i profumi di cui sopra; una apertura ampia per un vino che si farà notare per una media persistenza e che si dimostra per tutto quello che vale solo quando arriva ben sotto il palato con un giro di fragolina determinante. Finale senza fuochi di artificio, come deve essere, una chiusura breve e discreta.
Il Lambrusco di Sorbara dello Zucchi è vino ad alto contenuto di esperienza, una bevuta gradevole ed un profumo altrettanto discreto. Va bene così.
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martedì 26 ottobre 2010

TIMORASSO BRUT "CHIAROR SUL MASSO " CASCINA I CARPINI. INCONSUETA ELEGANZA.


Raccolto molto volentieri il garbato ed intelligente appello fatto da Andrea Petrini dal suo Percorsi di Vino eccoci al Tasting Panel di una invenzione della natura molto ben intepretata dalla tortonese Cascina I Carpini : Timorasso Spumante Brut Chiaror Sul Masso.
Gli interpreti dell’evento si sono fatti aspettare un po’ ma alla fine si sono finalmente materializzati con me a tavola, con Cristina ed Eliseo tasting panel a tre con cena appropriata e calice in mano. Tre tipi di valutazione: analisi generale consueta, analisi a punteggio per la quale abbiamo ancora una volta usufruito della scheda di valutazione di Tigullio Vino e, per finire, emozioni personali.
Ecco i risultati del nostro assaggio
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Prima alcune note tecniche raccontateci direttamene dai Carpini “Chiaror Sul Masso è un Vino Bianco Spumante Brut da uve Timorasso della vendemmia 2008 e sviluppa un tenore alcolico del 13% Vol…… l’uva è stata vendemmiata in due tempi, la prima parte a fine agosto, la seconda a fine settembre 2008…….estrazione a Freddo…. fermentazione è partita spontaneamente a bassa temperatura ed ha proseguito per circa 3 settimane lentamente……la permanenza sulle fecce fini fino Aprile 2009 quando poi il vino si è chiarificato per sedimentazione…… rifermentazione ha proceduto per circa un mese in autoclave secondo il metodo Martinotti lungo al termine del quale si è proceduto a microfiltrazione in acciaio alla fine di agosto 201. Chiaror Sul Masso è stato imbottigliato il 28.08.2010 e ne sono state prodotte 3780 Bottiglie”. Numerate aggiungo io che, se non è solo uno sfizio del momento, credo sia una buona idea da proseguire in futuro.
Colore giallo paglierino con riflessi verdini non intensi e perlage carico e deciso, al naso delicatamente fruttato con un tocco di mela garbato ed elegante che lo rende per nulla ordinario, un po’ più sfuggente al passare del tempo. Assaggio con inizio di garbata bollicina, discreta, buon ampiezza per la ripetizione del tocco di frutta solo leggermente acerba, equilibrato, persistente, si apre molto bene al primo tocco e si chiude molto lentamente ma con robusta decisione, rilascia “ un sapore intenso di fragoline di bosco” (Cristina) ed un buon tocco di amarognolo che lo rende invitante al sorso successivo.

Ecco il punteggio medio di valutazione delle tre schede dei partecipanti:
ESAME VISIVO (min 1 max 3) : 2,7
ESAME OLFATTIVO (min 1 max 5) : 3,7
ESAME GUSTATIVO (min 1 max 7) : 5,3
IMPRESSIONI GENERALI ( min 1 max 5) : 4
VALUTAZIONE DEFINITIVA : 15,7 /20

Ancora un po’ di lavoro per affinarlo al palato ed il gioco è fatto.
Una esperienza di delicata gradevolezza, “lo aspettavo più secco…mi ha sorpreso..” (Eliseo) e non è solo poesia il commento di Cristina “ ricorda una brezza primaverile …disseta come la rugiada mattutina”.
Un ottimo lavoro dei Carpini per questo Timorasso da noi interpretato al pasto con carne bianca ma che può fare tranquillamente da apripista e/o da aperitivo della sera.
Questo Chiaror Sul Masso piace, piace eccome
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sabato 23 ottobre 2010

"IMPUTATO WINE-BLOGGER SI ALZI" - QUESTA E' LA STORIA DI UNO DI NOI (e se fosse vera?)

Scrivere un racconto che parla di wine-blogger e poi chiedersi: ".... se fosse veramente accaduto?" Infatti è accaduto che un blogger ha scritto un racconto che parla di wine blogger e poi si è chiesto................

Fabio è prima un amico poi abbiamo la comune passione per il vino ed il suo mondo, lui fa il giornalista, scrive ed anche bene. Fabio ha un suo blog dove parla di vino, quello è altra cosa però, ci tiene molto, è il suo spazio di libertà, se ti va lo leggi altrimenti te ne puoi andare, lui non cambia la sua linea in base ai click. Questo è mestiere altrui. Fabio fa il giornalista, tiene un suo blog e scrive di vino. Quando mi ha telefonato tempo fa non era solo arrabbiato, la rabbia è scevra da ragionamento, la rabbia è agnostica, Fabio era deluso. L’ultima suo clic sulla tastiera gli aveva procurato una lettera dell’Ordine dei giornalisti, pensava ad un invito al solito convegno oppure una assemblea “ma non l’abbiamo appena fatta.…!”. Non si aspettava una denuncia.
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Leggeva a voce alta Fabio:“L’Ordine dei Giornalisti con prot. 2015896TS ha ricevuto una segnalazione del Collega Terenzio Sestini ….relativamente ad un Tuo articolo pubblicato sul tuo blog………per il quale Ti troveresti in conflitto di interessi essendo i produttori dei vini citati, tuoi amici ….posto che potrebbero concretizzarsi le violazioni degli artt. Legge Professionale del 1963 e delle disposizioni contenute nella Carta dei Doveri del giornalista 8/7/93……..far pervenire tutti i chiarimenti, documenti o mezzi d prova ai fini della valutazione …… per la attribuzione di eventuali provvedimenti disciplinari…….
Fabio ha molti amici nel mondo del vino, perché quello è un po’ di più del suo lavoro, è il suo mondo. Fabio aveva scritto sul suo blog del vino di alcuni amici, aveva scritto di assaggiarlo, l’aveva scritto sul suo blog ed ora rischiava la professione, per la denuncia di un collega. Una tristezza. Quando a me è scivolata la battuta “Forte quel Terenzio, nell’epoca di Santoro e Fede, il fazioso in conflitto di interessi saresti tu?”, Fabio finalmente ha riso.
Eh già forte quel giornalista Terenzio, giudice e giustiziere di giornalisti sprovveduti, forte quel Terenzio ma di blogging capisce nulla.
Così Fabio si è preso la delusione sotto il braccio ed ha cominciato a scrivere, a buttar giù il testo per l’Ordine dei Giornalisti, si è messo a ragionar con l’avvocato ed a rileggersi sconsolato la sua creatura graffiante e libera: il suo blog.
Qualcuno magari pensa che è forte quel Terenzio che ha dato in braccio al destino la madre di tutte le domande ovvero “può un giornalista fare blogging?” o peggio “chi non è giornalista può scrivere?”; ma io dico no, Terenzio non aspirava a tanto, forse ha pensato solo di giocare un po’ a guardia e ladri ma anche li sbagliava si era sentito giudice, “il ladro è Fabio” ha sentenziato. Un gioco forte, in palio il lavoro di Fabio. Forte questo Terenzio che si è sentito un po’ guardia e molto giudice, modaiolo.
Fare blog è cosa epocale” ha pensato Fabio, “guarda per un post che parla di vino su un blog cosa può accadere”. L’ho pensato anche io, lo sappiamo tutti. Forte Terenzio che….lo sa?
E’ stato quando Fabio ha capito che il gioco si è rovesciato, quando ha capito proprio quello che il Sestini non aveva capito, che ha vinto. Così Fabio si è giocato la carta della realtà: internet esiste non lo puoi spegnere, il blogging non lo spegni. Neanche tu Terenzio ce la fai.
E’ così che Fabio ha vinto la sua sfida, ha messo tutto dentro un plico, tanta carta, poi l’audizione e la lettera successiva che l’Ordine gli ha mandato diceva “…..archiviare il procedimento nei confronti di Fabio Notabili non sussistendo elementi di fatto e di diritto per l’apertura di un procedimento disciplinare a suo carico…..”
Già perché “il blog in esame non è registrato come testata giornalistica e non è neppure uno strumento di vera e propria informazione, essendo piuttosto una bacheca personale di discussione su argomenti personali e attinenti il mondo del vino”. Non sarà di un tribunale ma la sentenza è storica; gli hanno anche detto che “ha operato in piena trasparenza e…..” e via così in una sequenza di lazzi che un buon giornalista d’epoca indicherebbe con termine “tripudio”.
Forte Fabio che ha preso per mano la sua delusione di giornalista e ne ha fatto un caso giornalistico, forte Fabio che ha fatto dire al suo Ordine che il blog è libero di essere onesto. Forte Fabio per come ha creduto nel suo lavoro. Terenzio? Bravo bischero.

Signor giudice noi siamo quel che siamo
Ma l'ala di un gabbiano può far volar lontano
Signor giudice qui il tempo scorre piano
Ma noi che l'adoriamo col tempo ci giochiamo
(Roberto Vecchioni)
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mercoledì 20 ottobre 2010

AMLIN ERC CUP OVVERO LE BATOSTE EUROPEE DEL RUGBY ITALIANO: UNA PARTECIPAZIONE DA RIPENSARE


Ho fatto silenzio sul rugby ultimamente, mi sono messo a guardare, a cercare di capire le nuove impostazioni come andavano, cosa generavano.Tutto nuovo quest’anno per la Celtic League della bella Benetton Treviso e degli Aironi che però non volano proprio.
Tutto vecchio ed alla vecchia per il “nuovo” Campionato Eccellenza che l’unica differenza da quello dello scorso anno ce l’ha nel nome, non si chiama più Super 10 e credo, visti i risultati, sia solo per motivi scaramantici.
Occhi puntati proprio su questa Eccellenza, questo campionato piccolo piccolo ma anche un po’ vero che però ha abbassato in maniera sensibile l’asticella della qualità tecnica e dello spettacolo.
Le nostre squadre di Eccellenza dopo il ridimensionamento soprattutto economico ed il passaggio di fatto al semi-professionismo (o al semi-dilettantismo dipende da che punto si guarda…), hanno anche cominciato il loro viaggio nella coppa europea Amlin Challenge Cup. Ah che dolore !!!
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Petrarca, Crociati, Rovigo e Cavalieri Prato hanno giocato tutti le prime due partite contro le squadre europee del loro girone rimediando, complessivamente negli otto incontri che hanno disputato, una di quelle batoste che devono far riflettere.
Non inganni il fatto che Prato sia riuscita a vincere una partita, il problema non sono le sette sconfitte ma come sono maturate.
Ben 90 punti complessivamente fatti dalle italiane e 369 subiti, 6 mete fatte e 51 subite, il tutto in due soli turni di campionato europeo. Punto e basta ed è inutile far finta di non vedere.
Non ha senso così, non ha senso catapultare quattro squadre di volonterosi semi-prof, spesso anche meno, a farsi dare potenti scoppole da titolati teams inglesi e francesi; non ha senso collezionare sconfitte del tipo 56 a 9 (il Petrarca perde dai Sale Sharks) o 90 a 7 (il Rovigo si inchina davanti a Gloucester Rugby) solo per dire “ci siamo anche noi”.
Sappiamo tutti che il problema dei club italiani è la pecunia ed anche quella che rilascia la Amlin Cup fa comodo, la cosa non si può biasimare in nessun modo ma così non si fa il bene del rugby.
Piazze ex-prestigiose come Padova e Rovigo collezionano da anni sconfitte memorabili facendo dimenticare tutto d’un botto avventure di altri tempi con i mitici “quindici” del rugby italiano: della Colonna, del Presidente o Dogi che fossero.
Questa partecipazione va ripensata, è indegna e disonorevole ma le società sportive italiane non ne sono in nessun modo colpevoli.
A queste ultime servono i soldi (ahi ahi) ed al movimento del rugby un minimo di protagonismo sportivo sulla piazza europea, bisogna trovare un punto di incontro.
Sono le franchige locali stile irlandese la soluzione? Potrebbe essere una via da valutare, bisogna cominciare a discuterne, un intervento va fatto. Subito.
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domenica 17 ottobre 2010

PRA' AMARONE DOC 2006. DIVAGAZIONI SU UN TEMA


Quando io ed il Massimo ci si trova onoriamo la nostra comune appartenenza al Terroir Amarone, sospirata o disconosciuta che sia, intavolando una bottiglia di tal fattezza.
Dopo diverse esperienze, comuni e no, ci vien facile dire che quando ti cimenti in Amarone e scavi in cantine mai esplorate o nuove esperienze è più facile trovare il vino “incompreso”, che qualcun altro chiamerebbe la “fetecchia” ma noi non ci abbassiamo a tanto gergo, piuttosto che la cosa favolosa e sconosciuta ovvero la rivelazione. Fra milioni, milioni e poi milioni di bottiglie di questo raro vino è facilissimo possa accadere.
Prà è una grande cantina, la sede di Monteforte d’Alpone rilascia ottimo Soave ma, con il cavallo in etichetta che trascina pesante carretto, c’è anche un “ Amarone della Valpolicella Doc e, nello specifico i 16,5 gradi alcolici di questo 2006. Ci siamo già capiti.
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Vediamo un po’ come ci è andata.
Colore non pesante, divagazioni sul tema del rosso scuro, unghia bassa e leggera.
Un naso decisamente alcolico ma gradevole al quale non sopravvive però il tema dell’appassimento, rimane una giovane ciliegina di profumo che ci evidenzia che c’è l’intenzione ed anche qualcosa di più.
Assaggio che tradisce tutta la sua gioventù, permane il passaggio di alcol per un Amarone della stirpe dei fluenti e leggiadri, leggerezza in assaggio quindi ma anche una certa decisione in ingresso con “stroncatura finale da tannino anche positiva se si vuole” (Massimo).
Non c’è la nota dolce e nel tempo non perde le note alcoliche al naso, non guadagna profumi rilasciando le note di una canzone “cosa sara?”
Un vino impostato per essere un Amarone.
La moltiplicazione delle bottiglie, il Consorzio le conta a milioni e ne abbiamo recentemente già parlato qui, lascia più spazio alla libera interpretazione
(disciplinare rispettato naturalmente!!) dell’Amarone piuttosto che alla sua ispirazione più o meno originale .
Ci sono tanti modi di mandare per scaffali in giro per il mondo bottiglie di Amarone c’è il metodo degli Artisti, elitario e non condivisibile, c’è la “libera intepretazione” e poi ce n’è un altro. Indovinate per chi facciamo il tifo io e Massimo ?

domenica 10 ottobre 2010

AIOLA & FRIENDS: FATTORIA AIOLA CHIANTI CLASSICO RISERVA 2005 DOCG (GRAZIE DAVID)

Mi è sempre piaciuta la passionalità del David, da quando bevevo il caffè al suo Bar in piazza a Gavinana (questa è però una storia a parte) fino ad ora che vive nella sua enoteca l’ultima ingegnosa avventura della famiglia Magrini. Era da tempo che volevo salutare la congrega del Vinaio, Fabio Lorella ed il David appunto. Forza Viola!
Tempo fa entro nella loro enoteca ed è il David che mi viene incontro “ma l’hai mai sentito codesto costì?” mi giro sullo scaffale c’è Fattoria Aiola in evidenza., io penso “Guarda li, il chianti del Senatore Malagodi!”.
David continua “questo me lo vo a pigliare io….. è da sentire bada
Due chiacchiere sul nostro comune amore, la Fiorentina, e mi porto via l’Aiola.
C’è tanta gente di oggi e di ieri in questa storia ma quando togli il tappo il vero protagonista diventa Fattoria Aiola Chianti Classico DOCG Riserva 2005.

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L’Aiola era un bel castello a protezione di Siena, circa cinquecento anni fa i fiorentini se lo bruciano in nome della guerra atavica Firenze-Siena che va in onda anche ora sotto forma di antipatia congenita. Nel novecento entra in campo la famiglia Malagodi ed il Senatore in persona che ne fanno una fattoria modello, i suoi discendenti ancora oggi ci regalano perle di saggezza sotto forma di Chianti Classico ed altri Cru.
Io mi sono appunto gigioneggiato con il loro Chianti Riserva.
Tredici gradi alcolici di vera morbidezza per questo 90% di Sangiovese e 10% di Canaiolo che, per ottenere il titolo di “riserva” appunto, si trattiene due anni in botte di rovere, poi si lascia affinare in bottiglia ed infine arriva in tavola. Anche la mia.

Rubino intenso il colore con ampi e brillanti riflessi viola anticato, note di fiori garbate ma persistenti al naso con un tocco finale di legno ancora bagnato però. Forse dovevo tenerlo ancora in cantina un “cincinino” di più??. Assaggiamolo.
Ingresso armonioso, gentile, un piacevole ritorno di fiore senza immediata carica tanninica, cosa che arriva solo più avanti svelandosi un chianti solo leggermente allappante. Qualche nota di ribes, il legno ritorna sul tocco lontano al palato di acidità. Un vino tutt’altro che “duro” ma comunque un po’ chiuso per un vino che mi suggerisce l’aggettivazione “saporito”.
E’ la armonia di questo assaggio che rendono la Riserva 2005 dell’Aiola una bella esperienza,per questo io adesso devo trovare la Riserva 2004 !
Dalla diatriba brucia-castelli firenze-siena alla storia del grande pensatore e segretario liberale italiano Malagodi fino alla enoteca del Magrini, se ci guardi dentro l’Italia è sempre una storia bellissima ed ogni fiasco di vino ne ha sempre una da raccontare.
Fatevi raccontare una storia, fate un salto all’Aiola.


Ci sono anche coloro che si decorano del nome di liberali...ma che liberali veramente non sono, perchè sono degli egoisti: sono liberali per se e per pochi amici e non capiscono la libertà della massa"
( Sen Giovanni Francesco Malagodi)


martedì 28 settembre 2010

LA "A" DELLA DISCORDIA , IL CONSORZIO VALPOLICELLA E LE FAMIGLIE AMARONE D'ARTE : MALE VOLUTO NON E' MAI TROPPO.


Amaronisti di tutto il mondo unitevi e quelli che c’hanno l’Arte dell’Amarone, o così si credono, lo hanno fatto davvero. Le Famiglie dell’Amarone d’Arte, dodici in tutto, hanno divulgato un altro comunicato stampa, praticamente uguale a quello di qualche tempo fa, eppure tutti lo hanno letto, tutti ne hanno scritto. Gli Artisti dell’Amarone hanno detto che loro l’Amarone lo faranno tutto bene, ne faranno poco, lo faranno come vogliono loro (entro il disciplinare però), quanto vogliono loro e lo faranno pagare molto caro. Le Famiglie riunite in artistica associazione estensori di declamazione così esplosiva e sorprendente sono : Allegrini, Begali, Brigaldara, Masi Agricola, Musella, Nicolis, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant'Antonio, Tommasi, Venturini, Zenato.
E il Consorzio Valpolicella che fa?
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Le Famiglie di cui sopra hanno anche e soprattutto adottato un marchio per farsi riconoscere, una A maiuscola che certificherà sostanzialmente le cose di cui sopra, anzi diciamolo con parole loro “……le Famiglie dell’Amarone d’Arte….abbinano anche l’ologramma distintivo che caratterizzerà il loro vino, per ribadire la forza della qualità senza compromessi, men che meno sul prezzo. .”
Il fulmine ha toccato terra ed oggi è uscito un comunicato stampa del Consorzio Valpolicella che dell’Amarone, inteso generalmente come vino non come unione di galleristi ed artisti vari, ne detiene le redini giuridiche e le strategie generali.
Mi piace ricordare una ovvietà: al Consorzio aderiscono tutti i produttori della celebre zona veronese inclusi i dodici affamigliaiti di cui sopra.
Nel comunicato del Consorzio, così come in quello degli Artisti, sono piovuti numeri e dati, una serie infinita di considerazioni più numeriche che altro, veramente degne di una corso di laurea in Statistica.
Uno a dire che i prezzi calano ed il vino in giro è troppo, l’altro a dire che quello che c’è va bene e che, anzi, c’è in giro un piano di riduzione ecc ecc… se proprio ci tenete leggete i comunicati dall’amico Angelo Peretti.
La disfida si gioca tutta li, sui numeri? No, è quella "A" la vera pietra della discordia, è quella A che ha fatto sudar freddo il Consorzio il quale per bocca del suo Presidente Sartori ha tuonato: “Il Consorzio può con certezza affermare che tutto l’Amarone certificato è Amarone con la 'A'maiuscola, non esiste una produzione che possa prendere le distanze da un'altra esistono invece tanti produttori che lavorano ottimamente…....nel rispetto della propria tradizione e nella piena legittimità di un sistema consortile che sta dimostrando di funzionare molto bene, l’unico tavolo interprofessionale riconosciuto per legge che ha l’incarico di tutelare, difendere, valorizzare e promuovere la denominazione”. Ahi ecco il nervetto scoperto, il Consorzio ribadisce che il Consorzio è lui e che sa fare il suo mestiere. Le Famiglie un consorzio nel consorzio? La “A” simbolo del prossimo “nuovo consorzio”?
A mio avviso nulla vieta ai “dodici”di far voce unica, nulla vieta loro di metterci sopra un timbro a forma di A, nulla vieta loro di ridurre le loro produzioni ed aumentarne i prezzi, su qualsiasi cosa rientri nei parametri e strategie del Consorzio cosa c’è che non va?
Fare un altro Consorzio di fatto, alimentare uno scontro politico interno alla Valpolicella minandone le prospettive unitarie e di comun denominatore di fronte al mercato mondiale questa è però una responsabilità che non si può lasciar loro, queste Famiglie saranno pure artistiche ma decidano per i loro vigneti non per quelli di tutti. Accadesse questa deflagrazione qualcuno dovrà pesantemente intervenire.
Veniamo ora però al Consorzio ed ai suoi numeri pubblicati oggi, li ho scorsi più volte ma non ne ho trovato alcuni e così, tanto per rinfrescare la labile memoria di Presidente e consiglieri del nobil Consorzio della Valpolicella ne riporto solo un paio tratti dalla presentazione “Anteprima Amarone 2005” quando lo stesso Consorzio allora tuonò così: “l'Amarone Doc viaggia controcorrente, forte degli 8,5 milioni di bottiglie vendute nel 2008. Con investimenti su nuovi terreni (rinnovato il 36% negli ultimi 7 anni) e ammodernamento cantine punta a raddoppiare la produzione in quattro anni, fino a 16 milioni di bottiglie che troveranno mercato in nuovi Paesi all'estero dove, per la prima volta, verrà dal 2010 organizzato l'evento 'Anteprima Amarone”.
Complimenti per la trasmissione Consorzio Valpolicella e Presidente Sartori fa piacere sapere che ci avete ripensato, è legittimo farlo: quasi come fare una A su una bottiglia.
Dice un noto proverbio toscano: "Male voluto non è mai troppo".

PUBBLICATO DA Stefano il Nero in origine su Terroir Amarone
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martedì 21 settembre 2010

IL PREMIO IWC E' ALMENO STRANO PERO' LO VINCE IL BRUNELLO DI "CASTELLO ROMITORIO". TIE'.


Ma l’IWC non era un orologio ? Ma si dai me lo ricordo, ho visto gente spenderci migliaia di euro per l’orologio svizzero in questione, mi ricordo aver pensato “ma chissà che cavolo di ora fa un orologio che costa così” ed una serie di altre idiozie di questo tipo. Un orologio IWC della serie "Da Vinci" viaggia infatti sui diecimila euro ma della stessa serie l’automatico a diciotto kappa arriva a centoventisettemila euro, uno della serie “Portuguese” supera i quindicimila se Platinum supera i trenta (mila naturalmente) se Tourbillon supera i centosessanta (sempre mila…sigh). Quindi la cosa che l'acronimo IWC avesse a che fare con il vino mi era cosa scarsamente nota fino a quando ho scoperto, oooh come sono ignorante ooohh, che c’è un premio mondiale di altissima risonanza dedicato ai vini planetari: International Wine Challenge.
Tutto bene e capitolo chiuso se non fosse che il premio è stato vinto nella sezione “Miglior vino rosso” da un Brunello di Montalcino ed esattamente Castello Romitorio (speriamo ora il prezzo di quella bottiglia non prenda la fisionomia di un orologio svizzero a caso).
Congratulazioni vivissime al Castello Romitorio che ha compiuto questo atto di vero eroismo. Perché eroismo? Sentite un po’ qua.


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La IWC intesa come “internescional uain cellenge” detiene giuria super qualificata, senza dubbio, e detiene anche una serie di sponsor che immagino paghino, in parte o in toto non so, le spesucce per gli assaggi di migliaia di bottiglie di vino da/in tutto il mondo.
IWC-Vino fa mostra di tali sponsor anche sul suo website, sia chiaro non mi aspetto che ad una manifestazione del genere partecipi come sponsor la Coca Cola ma a tutto c’è un limite.
Passi per buona volontà che uno degli sponsor sia Thierry, distributore di vini del Regno Unito, passi per simpatia il fatto che altro sponsor sia TY Nant che vende sempre bevande ma acque minerali, passi per tricoloricità il fatto che altro sponsor sia De Bortoli Wine che il vino lo fa in Australia da tre generazioni dopo la trasferta obbligata della loro famiglia causa emigrazione da Asolo al continente del Sud del mondo, C'è qualcosa d’altro che a me proprio non torna.
Gli altri sponsor del premio IWC sono infatti : Vini Portugal, Sud De France, Wines from Spain, Wine Australia, Wine of Chile, ovvero agenzie pubbliche e private che si occupano della diffusione nel mondo dei prodotti vitivinicoli dei loro paesi……e sponsorizzano una manifestazione internazionale che si occupa di dirci quali sono i migliori vini del mondo. Cito allora l'agenzia dalla quale ho tratto la notizia : " Nella classifica per Paesi la Francia ha avuto l'onore di risultare prima per il secondo anno consecutivo con 21 vini selezionati, seguita dall'Australia (12) e, a stretta misura dal Portogallo (11). Mentre Italia, Germaniae Nuova Zelanda si attestano a 8 riconoscimenti" . Ma va ?! Che strano !!

Altra cosa salta subito all’occhio, non ci sono agenzie italiane come sponsor, indice di severità per l’etica, di morigeratezza internazionale o di progettualità distratta? No comment.
Forse ora è più chiaro il perché quelli del Romitorio sono stati “di molto bravi” a portare a casa la targa del primo premio, la concorrenza era serrata, anzi serratissima e non era tutta imbottigliata.
IWC è quindi anche marchio del vino, che sollievo quando mi è apparsa di fronte notizia siffatta: ho smesso di guardarmi inebetito il polso dal quale pendeva, e ancora li sta, il mio orologio da 47 euro, quarantasette tondi senza il “mila” finale, vista la cabala vorrei dire anche quarantasette inquietanti euro, e mi sono beatamente rincuorato “ha vinto un vino italiano?! Tiè!”
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