giovedì 29 luglio 2010
TETIGISTI ACU : MICHELE SATTA BOLGHERI ROSSO DOC 2007
Partiamo dalla traduzione : hai colpito nel segno !! (letterale : con l’ago). Soggetto: Michele Satta.
Nota è la mia propensione per tutto ciò che vitiviteggia intorno a Bolgheri e quindi rimane in testa ai più come partigiana la ulteriore scelta sorseggiata e qui riassunta, fra latinismi e declamati motivi di soddisfazione.
La collezione di Michele Satta è conosciuta e citarla dicendo “collezione” invece di cantina non è una mia idea ma, repetitia juvant, se lo merita.
Avute davanti almeno tre sue diverse bottiglie decido di assaggiarlo aggirando i gradi di nobiltà e arrivo al suo Michele Satta Bolgheri Rosso DOC 2007.
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Il vino regala sensazioni, una cosa bella che solo la terra ti sa dare, quando il vino è così “vicino” alla terra accadono molte cose.
Il primo sorso di questo rosso di Castagneto mi ha infatti ricordato la musica, non una musica in particolare: la musica. Così mi sono ritrovato a pensare ad un amico, uno che per la musica (e per l’Inter, ahimè) ha una passione speciale, gli ho anche scritto una mail, ho avuto una idea e gli ho scritto, per ora cin cin a te caro amico e buone vacanze.
Passiamo al nostro rosso. Questo Bolgheri Rosso è semplicemente nobile nel gusto ma sentite un po’ la trafila che ha scelto per lui il Satta: “….raccolta manuale grappoli a perfetta maturazione…. fermentazioni senza aggiunta di lieviti artificiali,stando sulle bucce per almeno tre sett. Dopo 12 mesi di barriques il vino va in bottiglia senza filtratura e sosta in cantina per 6 mesi prima di essere venduto”.
Un uvaggio coraggioso: 30% Cabernet Sauvignon, 30% Sangiovese, 20% Merlot, 10%Syrah, 10% Teroldego
Rosso intenso , quasi cupo senza unghia evidente ai suoi lati, mora al naso in deliziosa e morbida evidenza, il finale della profumazione è sincera densità di tabacco bagnato.
Bel Bolgheri, gli faccio fare un giro, scorre nel bicchiere appena pesante.
Primo assaggio con ingresso delicato e subito dopo una discreta struttura di tannini che abbrevia la bevuta e scocca la scintilla che diventa una sensazione di persistenza media, garbata, elegante. Armonioso, morbido e ben tondo, questo vino regala una profonda sensazione di terra; piace come entra con garbatezza ed esce con il tocco di acidità dei vini che la sanno lunga. Tetigisti acu!
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domenica 25 luglio 2010
IO "VITTIMA" DEL CONSIGLIO GIUSTO : LA GARGANEGA DEL SISTO BIASIN
Di questa cosa mi sono piaciute molte cose. Partiamo dalla ispiratrice, Annalisa, ed arriviamo al produttore, Sisto Biasin. La cantina vicentina, esattamente Comune di Alonte appena sotto i Colli Berici, è: tradizione veneta, venti ettari, cabernet pinot e garganega in vite, sensibilità al collegamento con il territorio, un po’ di marketing (si può fare di più). Vediamo un po' cosa ne è nato.
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Sisto Biasin è il marchio che rileva il nome più palladiano dei tre fratelli Biasin o almeno così loro ce la raccontano, i venti ettari raccolgono le uve della tradizione, la loro web production ci tiene ad un intelligente forte collegamento con il territorio ma purtroppo non è aggiornatissima, vezzo tipico in Veneto di chi fa le cose bene senza crederci veramente fino in fondo. Il loro buon marketing crea comunque il loro nome ed anche quella piacevolissima e discreta denominazione sotto il brand ovvero “Your private emotion” che, sulla bottiglia che abbiamo assaggiato, diventa “Your white private emotion”. Bellino e già che ci siete finite il buon lavoro fatto.
La bottiglia l’ha scelta Annalisa , enotecaia decisa e decisiva, mentre io gigioneggiavo fra gli scaffali; mi è piaciuto quel dito puntato sul “vinino” del Biasin quasi a spregio di marchi altisonanti posizionati poco sopra e sotto l’etichetta vicentina, “questo è speciale”, dice l’Annalisa e allora vai con “Sisto Bianco – Garganega IGT 2009 – Bott 8/4000”.
Dodici gradi di alcol per la tipica garganenga vicentina di bassa quota ma con una marcia in più in questo caso: la morbidezza.
Bel giallo paglierino nel bicchiere ed un naso fiorito ampio e contemporaneamente garbato aprono la conoscenza del lavoro dei Biasin. E’ il naso la forza di questa garganenga del Sisto Bianco, la sua capacità di essere intensa eppur assolutamente gentile. Assaggio caldo con grande immediata apertura al palato, tocco di pizzico amaro sul finale di un assaggio moderatamente persistente nel gusto di fiori. Scorrevole e semplice questa garganega lascia una sensazione di leggerezza. Teperatura dei due assaggi qualificati qui a 11 e 14, questa produzione Sisto Biasin è apprezzabile ad entrambe le temperature.
Bella la cosa di voler suggerire e considerare “speciale” un vinino di fatto, di non fermarsi al taglio della prestigiosa etichetta o alla altisonanza del nome dell’uva di origine. Sono atteggiamenti importanti per la crescita ordinata del mercato vitivinicolo italiano che sempre di più dovrà arretrare di fronte alla quantità di consumo per attestarsi sulla tipicità.
Congratulazioni anche al Biasin di cui, confesso, avevo già assaggiato il Cabernet Sauvignon con l’invito di cui sopra: move your market..ing!
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mercoledì 21 luglio 2010
LE TRE CONFUSIONI DEL RUGBY ITALIANO......ED IL MIO POGGIOLO
Che faccio m’indigno? Iro o ironizzo?
Scendo lentamente e di malavoglia dal favoloso poggiolo che mi ha regalato la partita di sabato scorso fra All Blacks e Springboks; un poggiolo fatto di gioco, fantasia, tenacia, rugby! Penso al modello Italia (con allenatore sudafricano): che faccio m’indigno? Iro o ironizzo?
Scendo dal poggiolo dicevo e mi tuffo nelle tre confusioni italiche, le tre bugie chiamate “verità”, wow che disastro: vediamo allora le tre confusioni
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Prima confusione: Destroy a dream
Le due “franchige” celtiche si palesano per quello che sono, Viadana e Treviso. Punto e basta.
Niente lega lombarda e lega veneta (detta così a qualcuno sarebbe piaciuta anche per motivi altri), niente tradizioni al comando, solo due team che si sono tolti dal marasma italiano e giocheranno a rugby con il resto d’Europa. Saccheggiati i vivai e gli spogliatoi delle altre italiane Viadana e Treviso costruiscono solo la loro strada. Al momento nessun segnale è pervenuto che giustifichi il fatto che quello che fanno lo stanno facendo con i soldi “federali” di tutti.
Vedremo del bel rugby ? Credo di si, di questo forse non ce ne pentiremo anche se dire “vedremo” è un parolone visto che ad oggi nessuno vuole i diritti televisivi delle partite. Viadana e Treviso sole sul tetto d’Europa. Viadana almeno ci ha provato a fare "qualcosa" di diverso, ha cambiato nome (Aironi) e colori sociali, a Treviso prevale per ora la spocchia tipica. Chi pensava di avere con la Benetton il Veneto sul tetto d’Europa è deluso. Ci è andata solo Treviso. Per ora è così, quelli intorno sono solo pollai e ricoveri, quando va bene sono “filiali trevigiane”.
“Coloro che fanno una rivoluzione a metà non hanno fatto altro che scavarsi una tomba”. (Louis de Saint-Just)
Seconda confusione: la bancarotta
Le altre rimaste a comporre la “massima serie” del rugby italiano (chiamarla “eccellenza” è a rischio di denuncia) sono quasi tutte sull’orlo del disastro economico ed il campioanto è di la da venire. Dispiace dirlo e qui c’è poco da ironizzare. L’Aquila è ko, non paga nulla da tempo tanto meno i giocatori e non ha fatto campagna acquisti. Le due Parma hanno realizzato fusioni ed incorporazioni con altre locali (Noceto e Colorno) generando i Crociati e GranDucato, una operazione cancella-debiti e ammazza budget non ancora terminata. In Veneto la situazione è difficile, Venezia non sta sulle sue gambe, Rovigo ha cambiato nome per dimenticarsi i debiti (affidati a Pantalone?) e a Padova il maggior vanto che gira è “il taglio del budget” ma anche li sono preoccupazioni solide. Mogliano? E’ altra storia, troppo vicini a Treviso. Roma è iscritta al campionato sub-judice causa debiti non pagati.
Cioè..’nsoma…volete raccontarmi che la Federazione quando si è messa a pagare fior di milioni per mandare le due elette in Celtic League non sapeva che il resto del campionato era già distrutto? Qui va a gambe all’aria tutto il rugby italico e stiamo li guardare il pelo nell’uovo nella tazzina di Munari?
“Se pensi che a nessuno interessa se sei vivo, prova a saltare i pagamenti di un paio di rate dell’auto” (Earl Wilson)
Terza confusione: la Nazionale di lingua straniera.
La Nazionale di rugby parla sempre meno la nostra lingua, Mallett cerca ovunque e con ansia tranne che a casa, a casa nostra intendo perché potesse farebbe la nazionale italiana con tutti sudafricani !! Cognomi improbabili, sudafricani, polacchi, tedeschi, francesi…magari anche ostrogoti vengono proposti per la nostra Nazionale di rugby sempre più fatta da giocatori poco convinti di essere veramente tricolori. Con Mallett il rugby in Italia non ha fatto un passo avanti che sia uno, a lui niente dobbiamo su questo fronte. La nostra Nazionale anche e soprattutto per le linee strategiche mallettiane (fisicità in primis) ha sempre meno a che fare con la nostra terra e sempre di più è accomunabile ad una Rappresentativa. Dopo il mondiale 2011 Mallett se ne andrà. Chissà cosa rimarrà del rugby per quel tempo.
“Ciascuno chiama idee chiare quelle che hanno lo stesso grado di confusione delle sue” (Marcel Proust)
Fa caldo, la confusione aumenta la calura, toglie ossigeno, incentiva gli svenimenti. La detesto anche per questo. La Federazione Rugby ed il movimento del rugby sono allo sbando, lo vedono tutti, lo sanno tutti. Dondi e relativi però no: tutto secondo i piani prestabiliti, tutto bene.
Ve li regalo, loro e i loro piani, i loro primi secondi e terzi piani; ciao, torno sul poggiolo.
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Scendo lentamente e di malavoglia dal favoloso poggiolo che mi ha regalato la partita di sabato scorso fra All Blacks e Springboks; un poggiolo fatto di gioco, fantasia, tenacia, rugby! Penso al modello Italia (con allenatore sudafricano): che faccio m’indigno? Iro o ironizzo?
Scendo dal poggiolo dicevo e mi tuffo nelle tre confusioni italiche, le tre bugie chiamate “verità”, wow che disastro: vediamo allora le tre confusioni
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Prima confusione: Destroy a dream
Le due “franchige” celtiche si palesano per quello che sono, Viadana e Treviso. Punto e basta.
Niente lega lombarda e lega veneta (detta così a qualcuno sarebbe piaciuta anche per motivi altri), niente tradizioni al comando, solo due team che si sono tolti dal marasma italiano e giocheranno a rugby con il resto d’Europa. Saccheggiati i vivai e gli spogliatoi delle altre italiane Viadana e Treviso costruiscono solo la loro strada. Al momento nessun segnale è pervenuto che giustifichi il fatto che quello che fanno lo stanno facendo con i soldi “federali” di tutti.
Vedremo del bel rugby ? Credo di si, di questo forse non ce ne pentiremo anche se dire “vedremo” è un parolone visto che ad oggi nessuno vuole i diritti televisivi delle partite. Viadana e Treviso sole sul tetto d’Europa. Viadana almeno ci ha provato a fare "qualcosa" di diverso, ha cambiato nome (Aironi) e colori sociali, a Treviso prevale per ora la spocchia tipica. Chi pensava di avere con la Benetton il Veneto sul tetto d’Europa è deluso. Ci è andata solo Treviso. Per ora è così, quelli intorno sono solo pollai e ricoveri, quando va bene sono “filiali trevigiane”.
“Coloro che fanno una rivoluzione a metà non hanno fatto altro che scavarsi una tomba”. (Louis de Saint-Just)
Seconda confusione: la bancarotta
Le altre rimaste a comporre la “massima serie” del rugby italiano (chiamarla “eccellenza” è a rischio di denuncia) sono quasi tutte sull’orlo del disastro economico ed il campioanto è di la da venire. Dispiace dirlo e qui c’è poco da ironizzare. L’Aquila è ko, non paga nulla da tempo tanto meno i giocatori e non ha fatto campagna acquisti. Le due Parma hanno realizzato fusioni ed incorporazioni con altre locali (Noceto e Colorno) generando i Crociati e GranDucato, una operazione cancella-debiti e ammazza budget non ancora terminata. In Veneto la situazione è difficile, Venezia non sta sulle sue gambe, Rovigo ha cambiato nome per dimenticarsi i debiti (affidati a Pantalone?) e a Padova il maggior vanto che gira è “il taglio del budget” ma anche li sono preoccupazioni solide. Mogliano? E’ altra storia, troppo vicini a Treviso. Roma è iscritta al campionato sub-judice causa debiti non pagati.
Cioè..’nsoma…volete raccontarmi che la Federazione quando si è messa a pagare fior di milioni per mandare le due elette in Celtic League non sapeva che il resto del campionato era già distrutto? Qui va a gambe all’aria tutto il rugby italico e stiamo li guardare il pelo nell’uovo nella tazzina di Munari?
“Se pensi che a nessuno interessa se sei vivo, prova a saltare i pagamenti di un paio di rate dell’auto” (Earl Wilson)
Terza confusione: la Nazionale di lingua straniera.
La Nazionale di rugby parla sempre meno la nostra lingua, Mallett cerca ovunque e con ansia tranne che a casa, a casa nostra intendo perché potesse farebbe la nazionale italiana con tutti sudafricani !! Cognomi improbabili, sudafricani, polacchi, tedeschi, francesi…magari anche ostrogoti vengono proposti per la nostra Nazionale di rugby sempre più fatta da giocatori poco convinti di essere veramente tricolori. Con Mallett il rugby in Italia non ha fatto un passo avanti che sia uno, a lui niente dobbiamo su questo fronte. La nostra Nazionale anche e soprattutto per le linee strategiche mallettiane (fisicità in primis) ha sempre meno a che fare con la nostra terra e sempre di più è accomunabile ad una Rappresentativa. Dopo il mondiale 2011 Mallett se ne andrà. Chissà cosa rimarrà del rugby per quel tempo.
“Ciascuno chiama idee chiare quelle che hanno lo stesso grado di confusione delle sue” (Marcel Proust)
Fa caldo, la confusione aumenta la calura, toglie ossigeno, incentiva gli svenimenti. La detesto anche per questo. La Federazione Rugby ed il movimento del rugby sono allo sbando, lo vedono tutti, lo sanno tutti. Dondi e relativi però no: tutto secondo i piani prestabiliti, tutto bene.
Ve li regalo, loro e i loro piani, i loro primi secondi e terzi piani; ciao, torno sul poggiolo.
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mercoledì 14 luglio 2010
CHIUDE (FORSE) IL BLOG DI ZILIANI: IL MONDO BLOGGER SI INTERROGA, SU SE STESSO.
Non condividevo ma lo leggevo, non mi piacevano tanti passaggi ma lo leggevo, ci avevo pure litigato ma lo leggevo. Vino al Vino, il blog del noto giornalista del vino Franco Ziliani, chiude o meglio, come dice lui stesso nel post di commiato : “Vino al Vino si congeda, non ho ancora deciso se provvisoriamente o definitivamente, dai propri lettori. E’ un momento molto particolare quello che sto vivendo, in cui ho bisogno di fare chiarezza in me stesso, di capire molte cose…..”. Il tono del post di “forse addio” è amaro, profondo, legato.
La cosa non mi piace per nulla, a questo mondo del vino ora manca un pezzo e così qualcosa non funziona. Mi auguro che Franco Ziliani risolva al meglio i suoi dubbi, le sue incertezze, le sue situazioni e torni a farmi ….’zare al solo sfogliare delle sue righe.
Il commiato del suo Blog ha ricevuto centinaia di saluti, inviti a ripensarci e via così ma fra quelli che ho letto ho notato che il commiato di Vino al Vino ha generato una serie di riflessioni su scopi e motivi di fare blog e wine-blog, un tentativo di capire qualcosa di più anche da parte di chi il proprio blog non ha alcuna intenzione di spegnerlo. Mi sono così risultati interessanti alcuni passaggi che voglio riportare qui, una sintesi molto personale ma indicativa di come nel mondo wine-blog ci sia un rammarico latente che la chiusura di Vino al Vino ha fatto emergere prepotentemente.
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Aepicurus sull’argomento lascia questo segno sul suo blog : “Viviamo una realtà da basso impero, dedita all'apparire, dominata dall'ipocrisia, ove sembra che la parola d'ordine sia di "nascondere la polvere sotto il tappeto. Siamo in tanti che invece il tappeto lo scostano e lo scuotono, chi in un modo chi in un altro, ma tutti con lo stesso scopo: dire le cose come stanno, indipendenti e trasparenti.” Vogliamo meditarci? Allora è questa la funzione di un wine-blogger? Sembra essere d’accordo Andrea Petrini che, sempre parlando della scelta di Ziliani sul suo Percorsi di Vino dice “…una voce libera su internet cesserà di gridare…” Internet rende liberi? Il celeberrimo Luciano Pignataro forse annuisce, salutando il Franco Tiratore, dice :” …la critica enologica non può più prescindere dal web e molti vini sono diventati famosi anche se ignorati nelle valutazioni del cartaceo….una situazione del tutto nuova, maturata a partire dal 2005, che ci ha spinto a considerare come nel vino sia internet a dettare le regole mentre nel food è costretto ancora subirle..” e poi ancora più interessante questa riflessione:” I blog, inutile nasconderselo, attraversano un momento di stanchezza, insidiati dai Social Network, ma anche dall’essere soprattutto il risultato di lavoro volontario non retribuito, richiedono impegno e dedizione quotidiana. Per questo sono indispensabili segnavento di come butta in giro.”
L’affondo definitivo alla questione lo da Aristide sul suo blog dove, salutando “l’antipatico” Ziliani entra nel vivo della considerazione di Pignataro e “approfitta” dell’evento per porsi e porre una prima domanda:”… questa grande applicazione di tempo ed energie - ovvero lo scrivere su Internet e interagire col pubblico - serve a cambiare qualcosa nel mondo del vino italiano?” Aristide compila un post interrogativo nel quale alla prima citata seguono altre diciotto domande introspettive su perché si debba stare in rete a scrivere di vino. Alle domande seguono anche autorevoli commenti, andateveli a leggere, fra cui proprio quello di Ziliani.
Diciannove domande nessuna vera risposta, ecco il problema.
Ci rifletterò a lungo ma su una cosa non ho dubbi: fare blog non è un questione di libertà, fare wine-blog può essere una proiezione di se stessi o del mercato che si rappresenta. Nel primo caso parla un consumatore o poco più, nel secondo parla un professionista del vino. Le diciannove risposte paiono servire solo ai secondi: la crisi è davvero profonda. Ha ragione Franco Ziliani.
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venerdì 9 luglio 2010
STORIA DI UN AGGUATO: NEGROAMARO SALENTO IGT 2008 CALAFURIA TORMARESCA
Io combino generalmente degli agguati ai miei ospiti, niente di strano eh, non li lascio mica sul pianerottolo facendo finta di non essere in casa per poi uscire dal nascondiglio facendo “cucu” (infantile ma efficace), tanto meno li invito a cena e, al loro arrivo, faccio finta di essermi dimenticato della tipologia di invito e offro loro un caffè ed un pasticcino (crudele ma dietetico). I miei agguati comportano l’uso di una bottiglia, li faccio sedere a tavola e, al momento giusto, verso loro il vino, li squadro con fare soggiogante, illustro le pietanze tanto perché si sentano un po’ in debito con me e poi li attanaglio, nel vero senso della parola, con una “innocente” domanda “Cosa ne pensate di questo vino?…ditemi ditemi tutto..ma proprio tutto”. Inquietati ma fiduciosi i più seguono la mia persecuzione regalandomi a volte delle idee interessanti e/o delle grandi soddisfazioni. Recentemente ho avuto una di quelle soddisfazioni di cui sopra e me l’ha data : Negroamaro rosato IGT Salento Calafuria di Tormaresca 2008.
Parliamone di questo sano frutto di sapiente agguato.
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Di Negroamaro ne avevo già parlato qui, questa volta lo affrontiamo vestito di rosa e proveniente dalle vigne di Tormaresca situate in Maime in San Pietro Vermotico, provincia di Brindisi: “Face chiù meracule na votte de vine ca na chiese de Sante”.
Tormaresca, per questo Negramaro che non nasconde i suoi 12 gradi alcolvolumetrici, affida le sue uve a selezione a mano, quindi diraspate delicatamente e pressate in modo soffice. Segue decantazione naturale e affinamento di quattro mesi in acciaio.
La temperatura di presentazione è quella giusta, misurati 10 gradi centogradi: evviva.
Scende nel bicchiere di un rosa intenso, quasi cupo, bellissimo nel suo portamento specialmente dopo l’appoggio al naso : leggermente garbatamente vinoso nei profumi, esce con caparbietà, carica e densa la pesca.
L’assaggio è forte, se chiudi e fai chiudere gli occhi durante il primo sorso (agguato specifico per l’occasione), pochi potranno distinguere il fatto che questo sia un vino rosato invece del solito rosso; questo Negroamaro si fa trovare amabile e tondo, sapido con forte punta di acidità finale ma soprattutto: profondo, persistente senza però disturbare più di tanto
Questo vino ha regalato alla tavola freschezza e gusto contemporaneamente, non sfugge infatti al mix dei gusti con le pietanze. Logico che la soddisfazione sia stata tanta, questo prodotto del tacco d’Italia ha centrato nel segno. L’agguato ha avuto successo
martedì 6 luglio 2010
NERO & PERLAGE: SERATA DEGUSTATIVA FRA RUGBISTICI
Metti a tavola una mezza dozzina di petrarchini colà convenuti con tanto di ovale e passare dalla piena e condivisa passione per il rugby alla denominazione di origine controllata e garantita è un viatico di indiscutibile “veneticità”.
Mentre Sandro, il padrone di casa, raccomanda silenzio assoluto sulle portate indicando nelle larghe bottiglie di bollicine l’arrivo inequivocabile della serata il primo appuntamento di un vero esodo verso i piaceri della vigna che finirà in perlage è però un Vermentino.
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Fabio stappa il Fabula Vermentino IGT 2008 Petricci & Dal Pianta che ci porta a sud di Bolgheri dove la provincia di Livorno fa storia antica. Suvereto è uno dei Borghi più belli d’Italia, aggrappato alla collina poco distante dal Mare è li a dimostrare come la Terra di Toscana sia sempre una incantevole scoperta. Petricci & Dal Pianta è cantina di tradizione della frazione di San Lorenzo e ci dichiara al 100% il suo Vermentino che ha maturazione finale 2 mesi in rovere e 2 mesi in bottiglia. Scende nel bicchiere carico e giallo, intenso al naso di frutta e di sensazioni alcoliche (recita 13.5 in percentuale alcol volumetrica) arriva all’assaggio con una piacevole pienezza, gradevole subito poca rotondità, evidentemente e benignamente sapido, una nota di acidità finale senza sbavature qualifica una buona chiusura meno fruttata del previsto.
Roberto è contento, anche molto più della posizione di classifica dei tuttineri all’ultimo campionato.
Per tutti poche battute sull’ovale degli altri, sul cuore lo scudo nero con intarsio rosso.
Ohibò torniamo al dunque ed approdiamo al trittico di bollicine.
Marco stappa senza convinzione, non è un buon presagio, il fresco Borgo la Gallinaccia Franciacorta DOCG Pas Dosè.
Il pas dosè è un sistema di rabbocco del metodo classico che utilizza “sciroppo di dosaggio” appartenente alla stessa cuvèe. Buona la bollicina di questo Franciacorta che si apre al naso intenso di mela dolce, assaggio equilibrato ma senza intensità, semplice e liscio, apertura scarsa, chiusura piatta. Mmmmhhh. Sarà per la prossima volta.
Benvenuto Franciacorta Mirabella Saten DOCG, bello come un drop da 40 metri. La sua gradazione a 12.5 è docile, colore oro, elegante al profumo di miele e vaniglia appena pronunciata, raffinato ma persistente al sorso, bollicina assolutamente non invadente.... punta di gradevole leggera ingannevole acidità sul finale. Una meraviglia.
Andrea prepara allora la vendetta d’oltralpe; di solito porta con se due cose ma nessuno, in questa occasione, è interessato alla sua macchina fotografica, tutti guardano il suo frigo portatile. Ne esce Champagne Robert Moncuit Extra Brut, il grande vino di un piccolo vigneron di Mesnil sur Oger. Il nostro nettare ha coltivato la sua anzianità nelle cantine del fattore per almeno tre anni, arriva sul bicchiere di colore brillante e “puro”, perlage incantevole, al naso subito con una sottile vena di cedrata e con crosta di pane in grande evidenza, crosta bruciacchiata e quindi quasi fumoso con grande eleganza, una piacevolezza veramente di alta classe. Raffinata dimensione di rotondità......come gli All Blacks dopo un intercetto che....basta così.
Serata finita, il fusion vino e rugby ha funzionato, visti gli attori non poteva che essere così.
Stefano il Nero scrive, ilari i più, ma adesso leggeranno e allora…..girà in aria la proposta…..una bella degustazione al Centro sportivo Geremia. Tanto per dare..... vita.
Bella fusion davvero.…come una meta su mischia chiusa dai dieci metri. Molto petrarchina. ...come.....basta così: fin.
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