Questo è il wine blog di Stefano Il Nero, un contenitore indipendente, indisponente ed insufficiente di impressioni sul vino
ed il suo mondo.
Al centro il gusto, la tradizione, il territorio.

martedì 28 settembre 2010

LA "A" DELLA DISCORDIA , IL CONSORZIO VALPOLICELLA E LE FAMIGLIE AMARONE D'ARTE : MALE VOLUTO NON E' MAI TROPPO.


Amaronisti di tutto il mondo unitevi e quelli che c’hanno l’Arte dell’Amarone, o così si credono, lo hanno fatto davvero. Le Famiglie dell’Amarone d’Arte, dodici in tutto, hanno divulgato un altro comunicato stampa, praticamente uguale a quello di qualche tempo fa, eppure tutti lo hanno letto, tutti ne hanno scritto. Gli Artisti dell’Amarone hanno detto che loro l’Amarone lo faranno tutto bene, ne faranno poco, lo faranno come vogliono loro (entro il disciplinare però), quanto vogliono loro e lo faranno pagare molto caro. Le Famiglie riunite in artistica associazione estensori di declamazione così esplosiva e sorprendente sono : Allegrini, Begali, Brigaldara, Masi Agricola, Musella, Nicolis, Speri, Tedeschi, Tenuta Sant'Antonio, Tommasi, Venturini, Zenato.
E il Consorzio Valpolicella che fa?
per continuare a leggere questo post clicca su Continua

Le Famiglie di cui sopra hanno anche e soprattutto adottato un marchio per farsi riconoscere, una A maiuscola che certificherà sostanzialmente le cose di cui sopra, anzi diciamolo con parole loro “……le Famiglie dell’Amarone d’Arte….abbinano anche l’ologramma distintivo che caratterizzerà il loro vino, per ribadire la forza della qualità senza compromessi, men che meno sul prezzo. .”
Il fulmine ha toccato terra ed oggi è uscito un comunicato stampa del Consorzio Valpolicella che dell’Amarone, inteso generalmente come vino non come unione di galleristi ed artisti vari, ne detiene le redini giuridiche e le strategie generali.
Mi piace ricordare una ovvietà: al Consorzio aderiscono tutti i produttori della celebre zona veronese inclusi i dodici affamigliaiti di cui sopra.
Nel comunicato del Consorzio, così come in quello degli Artisti, sono piovuti numeri e dati, una serie infinita di considerazioni più numeriche che altro, veramente degne di una corso di laurea in Statistica.
Uno a dire che i prezzi calano ed il vino in giro è troppo, l’altro a dire che quello che c’è va bene e che, anzi, c’è in giro un piano di riduzione ecc ecc… se proprio ci tenete leggete i comunicati dall’amico Angelo Peretti.
La disfida si gioca tutta li, sui numeri? No, è quella "A" la vera pietra della discordia, è quella A che ha fatto sudar freddo il Consorzio il quale per bocca del suo Presidente Sartori ha tuonato: “Il Consorzio può con certezza affermare che tutto l’Amarone certificato è Amarone con la 'A'maiuscola, non esiste una produzione che possa prendere le distanze da un'altra esistono invece tanti produttori che lavorano ottimamente…....nel rispetto della propria tradizione e nella piena legittimità di un sistema consortile che sta dimostrando di funzionare molto bene, l’unico tavolo interprofessionale riconosciuto per legge che ha l’incarico di tutelare, difendere, valorizzare e promuovere la denominazione”. Ahi ecco il nervetto scoperto, il Consorzio ribadisce che il Consorzio è lui e che sa fare il suo mestiere. Le Famiglie un consorzio nel consorzio? La “A” simbolo del prossimo “nuovo consorzio”?
A mio avviso nulla vieta ai “dodici”di far voce unica, nulla vieta loro di metterci sopra un timbro a forma di A, nulla vieta loro di ridurre le loro produzioni ed aumentarne i prezzi, su qualsiasi cosa rientri nei parametri e strategie del Consorzio cosa c’è che non va?
Fare un altro Consorzio di fatto, alimentare uno scontro politico interno alla Valpolicella minandone le prospettive unitarie e di comun denominatore di fronte al mercato mondiale questa è però una responsabilità che non si può lasciar loro, queste Famiglie saranno pure artistiche ma decidano per i loro vigneti non per quelli di tutti. Accadesse questa deflagrazione qualcuno dovrà pesantemente intervenire.
Veniamo ora però al Consorzio ed ai suoi numeri pubblicati oggi, li ho scorsi più volte ma non ne ho trovato alcuni e così, tanto per rinfrescare la labile memoria di Presidente e consiglieri del nobil Consorzio della Valpolicella ne riporto solo un paio tratti dalla presentazione “Anteprima Amarone 2005” quando lo stesso Consorzio allora tuonò così: “l'Amarone Doc viaggia controcorrente, forte degli 8,5 milioni di bottiglie vendute nel 2008. Con investimenti su nuovi terreni (rinnovato il 36% negli ultimi 7 anni) e ammodernamento cantine punta a raddoppiare la produzione in quattro anni, fino a 16 milioni di bottiglie che troveranno mercato in nuovi Paesi all'estero dove, per la prima volta, verrà dal 2010 organizzato l'evento 'Anteprima Amarone”.
Complimenti per la trasmissione Consorzio Valpolicella e Presidente Sartori fa piacere sapere che ci avete ripensato, è legittimo farlo: quasi come fare una A su una bottiglia.
Dice un noto proverbio toscano: "Male voluto non è mai troppo".

PUBBLICATO DA Stefano il Nero in origine su Terroir Amarone
.

martedì 21 settembre 2010

IL PREMIO IWC E' ALMENO STRANO PERO' LO VINCE IL BRUNELLO DI "CASTELLO ROMITORIO". TIE'.


Ma l’IWC non era un orologio ? Ma si dai me lo ricordo, ho visto gente spenderci migliaia di euro per l’orologio svizzero in questione, mi ricordo aver pensato “ma chissà che cavolo di ora fa un orologio che costa così” ed una serie di altre idiozie di questo tipo. Un orologio IWC della serie "Da Vinci" viaggia infatti sui diecimila euro ma della stessa serie l’automatico a diciotto kappa arriva a centoventisettemila euro, uno della serie “Portuguese” supera i quindicimila se Platinum supera i trenta (mila naturalmente) se Tourbillon supera i centosessanta (sempre mila…sigh). Quindi la cosa che l'acronimo IWC avesse a che fare con il vino mi era cosa scarsamente nota fino a quando ho scoperto, oooh come sono ignorante ooohh, che c’è un premio mondiale di altissima risonanza dedicato ai vini planetari: International Wine Challenge.
Tutto bene e capitolo chiuso se non fosse che il premio è stato vinto nella sezione “Miglior vino rosso” da un Brunello di Montalcino ed esattamente Castello Romitorio (speriamo ora il prezzo di quella bottiglia non prenda la fisionomia di un orologio svizzero a caso).
Congratulazioni vivissime al Castello Romitorio che ha compiuto questo atto di vero eroismo. Perché eroismo? Sentite un po’ qua.


per continuare a leggere questo post clicca su Continua

La IWC intesa come “internescional uain cellenge” detiene giuria super qualificata, senza dubbio, e detiene anche una serie di sponsor che immagino paghino, in parte o in toto non so, le spesucce per gli assaggi di migliaia di bottiglie di vino da/in tutto il mondo.
IWC-Vino fa mostra di tali sponsor anche sul suo website, sia chiaro non mi aspetto che ad una manifestazione del genere partecipi come sponsor la Coca Cola ma a tutto c’è un limite.
Passi per buona volontà che uno degli sponsor sia Thierry, distributore di vini del Regno Unito, passi per simpatia il fatto che altro sponsor sia TY Nant che vende sempre bevande ma acque minerali, passi per tricoloricità il fatto che altro sponsor sia De Bortoli Wine che il vino lo fa in Australia da tre generazioni dopo la trasferta obbligata della loro famiglia causa emigrazione da Asolo al continente del Sud del mondo, C'è qualcosa d’altro che a me proprio non torna.
Gli altri sponsor del premio IWC sono infatti : Vini Portugal, Sud De France, Wines from Spain, Wine Australia, Wine of Chile, ovvero agenzie pubbliche e private che si occupano della diffusione nel mondo dei prodotti vitivinicoli dei loro paesi……e sponsorizzano una manifestazione internazionale che si occupa di dirci quali sono i migliori vini del mondo. Cito allora l'agenzia dalla quale ho tratto la notizia : " Nella classifica per Paesi la Francia ha avuto l'onore di risultare prima per il secondo anno consecutivo con 21 vini selezionati, seguita dall'Australia (12) e, a stretta misura dal Portogallo (11). Mentre Italia, Germaniae Nuova Zelanda si attestano a 8 riconoscimenti" . Ma va ?! Che strano !!

Altra cosa salta subito all’occhio, non ci sono agenzie italiane come sponsor, indice di severità per l’etica, di morigeratezza internazionale o di progettualità distratta? No comment.
Forse ora è più chiaro il perché quelli del Romitorio sono stati “di molto bravi” a portare a casa la targa del primo premio, la concorrenza era serrata, anzi serratissima e non era tutta imbottigliata.
IWC è quindi anche marchio del vino, che sollievo quando mi è apparsa di fronte notizia siffatta: ho smesso di guardarmi inebetito il polso dal quale pendeva, e ancora li sta, il mio orologio da 47 euro, quarantasette tondi senza il “mila” finale, vista la cabala vorrei dire anche quarantasette inquietanti euro, e mi sono beatamente rincuorato “ha vinto un vino italiano?! Tiè!”
.

lunedì 13 settembre 2010

WINE-BLOGGER PROFESSIONALIZZATI E LA RETE IN SILENZIO


Essere blogger è concetto difficile da trovare persino sul vocabolario; esserlo parlando di un “prodotto” è cosa pure molto delicata. Il prodotto in questione è il vino ed i blogger a cui mi riferirò sono quelli che vi trovate in rete senza molto dispendio di energie. Sia chiaro quindi che qui non vale il gioco “fuori i nomi”,a quelli ci pensate da soli, io voglio fare qualcosa di più: raccontarvi degli ex-wine-blogger o, meglio, dei wine-bogger professionalizzati (o quasi)..
per continuare a leggere questopost clicca su Continua

C’era una volta questi wine-blogger che si mettono a scrivere in rete di sensazioni intorno al vino; a ripetizione sparano post su solforosa e tannino, sull’autoctono e sull’uvaggio e giù via con una quantità di post sui loro assaggi migliori e, udite udite, anche sui peggiori. Scrivono lanciandosi messaggi “importanti”, sottolineano ad ogni piè sospinto la libertà di essere blogger (secondo me una stupidaggine stellare), la capacità della rete di “dire solo la verita” (questa era la miglior bugia) e tante altre cose veramente geniali e belle insieme ad alcune inevitabili sciocchezze figlie del disincanto e della “amatorialità” del gioco.
In questo periodo il wine-internet è percorso da fremiti: idee importanti e preziose girano in rete, perle di novità gratuitamente a disposizione di tutti sulle quali tutti discutono. Si dibatte parecchio, da un blog all’altro partono frecciate e contro frecciate, botta e risposta , proposte e controproposte: internet ad alta fermentazione. Il wine-blog trionfa sul silenzio del settore vitivinicolo.
Arriviamo allora ai nostri giorni, l’epoca appunto della professionalizzazione. I blogger di cui sopra entrano nel settore direttamente, alcuni dentro mani e piedi altri aspirano solo ad entrarci ma l’atteggiamento inevitabilmente in entrambi i casi muta profondamente. Alcuni diventano quasi-giornalisti o giornalisti, quelli che giornalisti lo erano smettono di fare i blogger spesso inconsciamente; in genere sono la comunicazione ed il marketing ad abbracciare ed inglobare queste nuove leve.
Sono meno di una decina i neo-professionalizzati ma il peso sulla rete si sente.
Cala il livello di interlocuzione, chi ha una buona idea se la tiene per venderla, i dibattiti scemano, nessuno discute più con nessuno. I nemici dichiarati continuano ad esserlo ma dietro una spessa patina di amicizia, spariscono le polemiche, in rete oggi come oggi hanno pressappoco tutti ragione e se qualcuno dice qualcosa che non piace si fa mediamente finta di non averlo visto. Interi argomenti scompaiono dai loro blog, chi cancella il banale per dedicarsi all’effimero, chi si è professionalizzato su altro blog e quindi imbavaglia un po’ il suo, chi scrive ancora di vino “liberamente” prendendosi appunto la libertà di non dire mai cosa pensa, chi le dichiarazioni le fa fare agli altri e chi “cambia pubblico” e scrive in inglese ( il popolo della birra ringrazia) prendendosi una fetta di pubblico fra i più somari del mondo ma si sa l’erba del vicino è sempre più verde
Tutte cose belle e legittime per carità, passaggi anche molto intelligenti ma non riesco a non dire a proposito delle bandiere gloriose di questi blogger di ieri che se la mitica “libertà di scrivere” aveva un prezzo qualcuno lo ha pagato.
Questo è accaduto e io mi sono arrogato l’onore di farne la cronaca (abbiate pietà).
Capitemi bene però, la professionalizzazione di questi blogger mi trova perfettamente d’accordo, apprezzo sinceramente il loro lavoro ma sapete perché ho scritto questo pezzo? Qualche sera fa un amico mi raccontava di aver letto sul blog XYZ delle cose e però non si spiegava perché quel blogger, che lui leggeva da tempo non ne avesse aggiunte altre che….la risposta era nota : professionalizzato!
Aggiungo poche righe estratte da Internetgourmet e da un pezzo scritto dal Direttore di Euposia Beppe Giuliano rivolgendosi da giornalista della carta stampata al mondo blogger: “Senza la componente editoriale, il nostro schifosissimo know how, rimarrete a raccontare gratis sul web il mondo del vino con tanti ringraziamenti da parte dei vignaioli, dei distribuiti e degli agenti…di tutta la filiera che guadagna, insomma, sulle vostre spalle. Mi spiegate perché regalate il vostro ingegno?
Io pensavo non fosse questo il problema di un blogger ma visto il tutto devo ancora rifletterci su, resta il fatto che il mondo dei wine-blogger è in piena crisi di contenuti, forse il perché l’ho scritto sopra ma forse non basta ancora.

C'è chi l'amore lo fa per noia / chi se lo sceglie per professione/ Bocca di Rosa né l'uno né l'altro/ lei lo faceva per passione.” (Fabrizio De Andrè)

martedì 7 settembre 2010

IL RUGBY VENETO E LA CELTIC LEAGUE: LA SPOCCHIA AUTARCHICA DI TREVISO E LA MIOPIA COLLETTIVA


Finalmente spiccato dal rugby veneto il volo celtico con la prima (vincente) della Benetton Treviso nella Magners Celtic League, un campionato così a lungo agognato da essersi molti trevigiani quasi convinti di aver fatto tutto da soli.
Contenuti rugbistici a parte a molti non è sfuggito il tentativo trevigiano nell’accreditarsi, per questo nuovo campionato, come “franchigia” sportiva veneta senza volerlo essere veramente.
Il vestitino di franchigia è stato indossato dal Benetton Treviso per passare il turno FIR (secondo turno) di ammissione alla coppa celtica in sostituzione della malcapitata Roma, risulta utile spiegare che per franchigia si intende (lo intende la Celtic League e la FIR) un fattore sinergico di intenti e collaborazioni sportive (nonché societario) per dare rappresentatività sportiva ad un certo territorio.
per continuare a leggere questo post clicca su Continua
.

Avuta l’ammissione alla competizione nord europea, con il concreto aiuto di tutto il mondo del rugby veneto, Treviso ha cominciato a macinare su come proseguire ad apparir cotanto (franchigia) senza doverlo essere in alcun modo. Il sogno autonomista di Treviso è noto da tempo immemore, distante dalle altre società di pari rango, distante dalla FIR, distante da tutti la Benetton Treviso si riavvicina per convenienza ed a tratti, convinta di una sua superiorità che, è giusto e realistico ammetterlo, nel tempo ha dimostrato di avere eccome. Superiorità sterile però visto che ben poco ha fatto fiorire intorno a se a parte se stessa.
Arrivato ora il celtico traguardo la parte trevigiana trova però difficile da sostenere la propria autarchia, c’è bisogno di mettersi quasi ogni sabato il vestito buono, essere franchigia, essere squadra di tutti anche chiamandosi “solo” Treviso.
Ecco allora la conferenza stampa di presentazione inizio Celtic League carica di toni regionalistici, oratorie da “rappresentante” del leone, ma non quello benettoniano classico bensì di quello di San Marco, e mille altre manfrine di auto-accreditamento.
Ecco la dirigenza del Benetton Treviso, Munari incluso, sventolare sul campo di gioco nell’immediato post partita del primo incontro celtico con gli Scarlets. un grande bandierone con il Leone di San Marco.
Preso da pazzia mi faccio due domande.
Ma se tanta era la voglia di essere franchigia perché la Benetton non si è fatta una nuova società sportiva magari intitolata proprio all’amato leone del Pax Tibi in collaborazione, che ne so, con le altre società rugbistiche di rango del Veneto? Avrebbe potuto anche detenerne la maggioranza. Risposta semplice: Perché Treviso non vuole e mai ha voluto altri fra i piedi per questa ed altre avventure, questa è strategia legittima un po’ spocchiosa ma assolutamente legittima. La vena di autonomia/autarchia che bagna la Marca è senz’altro frutto di una superiorità organizzativa che per Treviso è anche un limite, il limite campanilistico e non solo di una Società sportiva che non vuole mai essere partner ma solo guida.
Seconda domanda.
Le società sportive maggiori del Veneto cosa pensano di questa politica trevigiana, ne sono almeno indispettite? Posto che per sapere veramente cosa pensano certi presidenti di certe titolate società del rugby veneto non basterebbe Mago Merlino nel giorno della sua migliore congiuntura astrale, diciamo che molti credono (ed io sono fra quelli) faccia molto comodo l’atteggiamento attuale della Benetton Treviso a tutte (o quasi) le maggiori Società sportive della regione.
Per queste ultime infatti significa avere sul territorio un progetto importante (la Celtic League appunto), non pagarne più di tanto dazio, mantenere almeno formalmente il proprio spazio locale-decisionale-politico-gestionale pressoché intatto, mantenere quindi il controllo sul minimo del proprio orticello ed aspettare che il tempo regali opportunità e decisioni diverse. Stiamo tutti insieme, dicono Treviso e gli altri, ma poco poco però, tutti “franchigiati” nella forma ma slegati nella sostanza. In sintesi: una cosa poco poco seria, tanto per essere cortesi.
Miopia allo stato brado cavalca irrefrenabile sulle praterie del rugby veneto, tanti auguri a noi.
Pax Tibi
.